insieme a mille altre di mille altre persone cullate dalle loro
TM. Piccole gocce di umanità gli si ammassarono sugli occhi,
sulle guance e giù per il collo.
La quercia era proliferata, nera, eterna ed innegabile, ora
occupava ogni anfratto della sua anima dimenticata e lasciata
a putrefarsi come tutto questo mondo che parlava una
lingua che non si arrivò mai a capire; un fittissimo bosco di
salici piangenti, pioppi cremisi, betulle disperate, fiori cupi
e bianchi, orripilanti meli su cui crescono teschi purpurei,
ma quella quercia velenosa e malefica, lei era la genitrice di
tutta quella foresta cancerosa.
Era sdraiato sulla strada, il sole, uno ed uno solo, stava
nascendo bucando il ventre gravido della notte, scalando
un monte. Dopo un po’ di riposo si sentì meglio, fisicamente
parlando, d’altronde aveva solo trentacinque anni, ma non
aveva alcuna intenzione di alzarsi. Perché farlo? Poteva morire
anche qui, era solo un insieme di forme strane che abitava in
un cubo dentro un rettangolo impiantato direttamente nel
cuore di una sfera schiacciata ai poli.
Il cemento sotto la sua schiena iniziò a fremere, a scalpitare,
come se un gigante lo calpestasse.
All’inizio ignorò tutto, ma il terremoto aumentava di secondo
in secondo, si alzò in piedi di scatto, impaurito. La vista non
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