con le parole, le canzoni suonate con una vecchia Gibson
che Speranza teneva nascosta sotto il pavimento in salotto.
Era proprio buffo che a spiegarle una cosa del genere fosse
stato un robot, qualcosa che non era mai stato umano, ma
che forse lo era più di tutti, con quella sua strana sensibilità,
quell’animo da viaggiatore della vita e del mondo.
Poi, al mattino, lui se ne era andato, lasciandole la sua
camicia e seguendo quel folle e disperato bisogno di aria che
non ha mai potuto respirare e libertà.
Lei non si sente male per questo, non soffre l’abbandono.
Chiude le ante dell’armadio con cura, ha sempre avuto un
debole per le cose vecchie che ricordavano il periodo da tra
la Seconda e la Terza Guerra Mondiale, pur non avendo mai
vissuto quegli anni.
Si avvicina al telefono e al sistema di chiamata, li osserva
per qualche istante e poi si dirige in cucina, dove si metterà a
mangiare e studierà gli appunti di genetica che le ha lasciato
due giorni prima Samuele, il suo assistente.
Anche se ]Y[[Y