mani copriva gli orecchi. Accortosi di me, contravvenendo
al raziocinio, inforcò la portafinestra e fu sul balcone,
prestando l’appiglio delle braccia al suo compare. Riflettei
sul grottesco ripiego: il ciclope non era una cima. Non
volevo più telare, preferivo catturarli piuttosto che
temerne il disperdersi... Stranito, afferrai un matterello e
raggiunsi l’energumeno che cingeva l’amico per le braccia,
lo colpii alla nuca, lui mollò la presa accasciandosi dietro
la ringhiera, mentre l’altro ricadde nell’aiuola sottostante
e disparve tra le siepi. Tra ematoma e otorragia, quello
grosso era malridotto, col sangue che gli correva giù per
il collo fino a intridere i cenci sdruciti. Si sdraiò al suolo e
perse conoscenza. Era inerte: frapposi le persiane, accostai
i battenti, chiamai la polizia.
Aspettavo la cavalleria, e qualcuno cominciò a latrare
da basso; alla portafinestra, schermito dalla persiana,
occhieggiando tra i suoi buchi, vidi l’uomo ancora riverso
sul gres del balcone. Allora una vecchia reclamò le spoglie
di suo figlio: dunque l’avevo ucciso. Atterrito, spensi la
luce. Lei disse che avrebbe mandato qualcuno a raccogliere
la salma, che voleva fosse depezzata e sepolta tra i rifiuti,
e rise; mi diressi alla co ɹ