lui stesso, elevandolo dalla miserevole condizione in cui era
piombato.
Mano a mano che procedeva i suoi sensi si ridestavano,
acuendosi ed abituandosi a quella landa.
Quel luogo si rivelò infine, assumendo le sembianze di una
distesa brulla di terra grigia e smorta, sulla quale neppure
l’imponente Dio lasciava traccia al proprio passaggio.
Un cielo privo di stelle sormontava la pianura altrettanto
monotona. L’assenza di vita sarebbe stata la naturale
conseguenza di quella asetticità, invece all’improvviso
percepì un lamento, un mugolio continuo di sofferenza.
Scandagliò il buio che sotto il suo sguardo attento virava in
una coltre di nebbia dall’aspetto sgradevole, quasi a formarla
fossero nuguli di insetti minuscoli, portatori di sventura e
pestilenze.
Non trovò nulla.
Si era quasi convinto che il gemito originasse dal suolo al
solo fine di tormentarlo, eppure non si fermò finché quella
litania distorta non aumentò di volume.
Si sorprese non sentendosi più addosso gli occhi ciechi delle
creature che lo pedinavano dal suo risveglio. Era convinto
che i fruscii di questi fossero stati coperti dal lamento,
invece l’intuito gli urlava il contrario: gli esseri lo avevano
abbandonato, attratti forse da qualcosa di più ghiotto.
Non ebbe tempo di gioirne poiché le grida si fecero più forti
e spaventose. Urla di una battaglia all’ultimo sangue.
L’icore cominciò a fluirgli irruento nelle vene donandogli un
sentore nuovo che ricordava tanto il delirio di onnipotenza
provato quando calava come una furia fra le schiere inermi
degli umani.
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