la voce lugubre sembrava una roccia che frantumava in
lontananza.
- Ora capisco per quale motivo queste... legioni romane,
conquistano la tua terra, siete degli esseri deboli ed inetti. Ma
non temere, i miei orchi hanno sterminato ciò che rimaneva
dell’esercito romano e ora si occuperanno anche di questi
ultimi sopravvissuti. - Non ti permetto di parlarmi in questo modo, schiavo, - sibilò
Arminio. - farai bene a ricordare chi è il padrone o ti farò
incidere il mio nome nelle carni! Uno stregone dietro di lui fece un passo avanti sollevando
una pietra brillante di luce purpurea, il bagliore aumentò
e Dvorak senti imediatamente i vincoli che si stringevano,
abbassò le spalle possenti, poi con un enorme sforzo si
risollevò e digrignando le zanne mormorò - Si..., Arminio lo
guardò con un sorriso di scherno, - Si?- , Dvorak strinse i
pugni e gonfiò il torace gigantesco - Si... padrone, - disse con
uno sforzo enorme. Avrebbero, pagato, questi deboli e teneri
umani avrebbero saziato la sua sete con il sangue.
Arminio si passava la mano sulla barba castana mentre,
camminando nervosamente avanti e indietro, osservava i
romani asseragliati sulla cima della collina sacra, non avrebbe
dovuto lasciare così tanta libertà a Dvorak nel decidere
quando attaccare i nemici, quel mostro godeva del terrore
che instillava nei legionari di Roma, se ne nutriva, assaporava
la paura di quegli uomini condannati come un corno di dolce
idromele. Era questo, a renderlo furioso, ogni momento che
passava dava la possibilità alla XIX Legione di riorganizzarsi,
la quale anche se non era al completo costituiva comunque
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