RIVISTA DEL VETRO Ottobre 2025 | Page 33

no alti, col tempo si avvierà un processo di sostituzione delle merci importate dall’ UE con merci locali o importate dai paesi con accordi doganali speciali( Canada e Messico). Sul fronte macroeconomico, una volta consumate le scorte accumulate col frontloading, le imprese USA subiranno un aumento dei costi e i consumatori un aumento dei prezzi, il che potrà frenare la crescita dell’ economia, e pertanto anche la domanda di beni importati. E la FED( la banca centrale USA) non avrà più scuse per non abbassare i tassi, col risultato di indebolire ulteriormente il dollaro. Insomma, nel complesso no good news per le imprese europee.
INDICAZIONI DI LUNGO PERIODO E sul lungo periodo in quale scenario dovranno operare le imprese? Per le previsioni economiche vale la stessa regola del meteo: più sono in là nel tempo, meno sono affidabili. Ciò premesso, dal report possiamo trarre alcune indicazioni. Assumiamo che la politica commerciale USA varata dall’ Amministrazione Trump non cambierà nella sostanza nei prossimi anni, e che lo stesso avverrà per la strategia di rilocalizzare negli USA importanti produzioni industriali, anche grazie a grossi investimenti esteri attratti con metodi più o meno gentili … Da tempo le associazioni imprenditoriali italiane hanno lanciato l’ allarme su una possibile emigrazione della parte migliore dell’ industria italiana.“ Il vero rischio per l’ industria italiana ed europea, afferma il CSC, è quello di perdere parti vitali del suo tessuto produttivo. I dazi USA, inoltre, incentivano un accorciamento di tutte le filiere destinate al mercato americano, essendo applicate sul valore( lordo) delle importazioni, che incorpora non solo il valore aggiunto nel paese esportatore ma anche quello di input provenienti da altri paesi( lungo le filiere produttive globali). Più alta è la componente da paesi terzi, maggiore risulta il peso del dazio sulla produzione del paese esportatore. Questo effetto è più forte per le filiere frammentate a livello internazionale e per i paesi“ assemblatori”, a valle delle catene di fornitura. Per il Vietnam, per esempio, poiché metà dell’ export è stimato incorporare input dall’ estero, le tariffe USA del 20 % di fatto raddoppiano( al 40 %) sul valore aggiunto vietnamita. Il quadro prospettico che se ne ricava, come risultato dei dazi USA, è quello di un sistema produttivo globale più chiuso e concentrato in blocchi di paesi allineati, in senso economico e politico”.
Tornando a un orizzonte meno lontano e incerto – la fine del 2026 – il report CSC effettua una stima dell’ impatto delle tariffe USA e dell’ euro forte sull’ export e la produzione del settore manifatturiero italiano. Una stima che – avvisa il CSC –“ è necessariamente incerta, data l’ alta volatilità dei fattori in gioco, ed astrae dai rischi di lungo periodo sulla riallocazione produttiva all’ estero”. Aggiungiamo che astrae, inoltre, dai possibili eventi negativi sull’ orizzonte geopolitico, che in queste settimane sono diventati particolarmente preoccupanti. Come detto sopra, l’ impatto complessivo è il risultato di due fattori: il primo negativo della minore competitività di prezzo dei prodotti italiani, il secondo positivo, ma molto più contenuto, derivante dalla maggiore perdita di competitività di concorrenti esteri. Per calcolare l’ effetto di questi due fattori il report si ricollega all’ esperienza dei dazi introdotti durante la prima amministrazione Trump. Cosa accadde allora: da un lato, i dazi su alcuni prodotti in acciaio( 25 %) e alluminio( 10 %) causarono una riduzione del 15 % delle vendite italiane negli USA in circa un anno e mezzo, con una riduzione dei prezzi all’ export( al netto dei dazi) del 10 %. Dall’ altro, l’ export italiano ed europeo trasse benefici dalle tariffe assai più alte imposte alla Cina. Il CSC stima che la differenza fra i dazi imposti alla Cina e alla UE fosse di circa il 10 %, a cui seguì il calo del 17 % delle importazioni USA dalla Cina e l’ aumento di quelle dalla UE dell’ 1,6 %( del 4 % circa escludendo i beni di consumo). Nel settore manifatturiero, in complesso, i nuovi dazi- è la sintesi del CSC –“ potrebbero ridurre le vendite italiane negli USA di circa 16,7 miliardi( rispetto a uno scenario senza tariffe), pari al 2,7 % dell’ export totale( 2,8 % di quello manifatturiero)”. I danni più gravi verrebbero subiti dai comparti dei macchinari e impianti, metalli e prodotti in metallo, alimentari e bevande, autoveicoli, altre attività manifatturiere, pelli e calzature. Inoltre, le perdite si amplificano se si considerano gli effetti indiretti, lungo le catene di produzione europee, del calo dell’ export negli USA degli altri paesi UE sulla domanda di input italiani. Se si tenesse conto di questo, la perdita complessiva arriverebbe al-3,8% dell’ export manifatturiero e al-1,8% della produzione. Che dire in conclusione di questa analisi? C’ è chi spera che in futuro, cambiando gli uomini al comando cambieranno anche le politiche. Ma è bene avvisare che la storia insegna che molto più spesso le mutevoli vicende dei singoli non modificano i trend di lungo periodo, guidati da fattori assai più profondi e potenti.
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