Un testo tratto dal secondo capitolo del libro di Primo Levi La tregua e racconta di una bambino , Hurbinek , paralizzato da circa tre anni , che non sa parlare e lotta
glio di nessuno , perché non ha genitori , non ha nome e non si conosce il suo passato . Racconto drammatico che Levi , con la sua stessa esperienza di deportato , riesce magnificamente a narrare in tutta la sua tragicità , descrivendo dettagliatamente la condizione vissuta nel Lager , luogo non descritto fisicamente , ma che incombe sulla scena e sul destino dei prigionieri .
Hurbinek era un nulla , un figlio della morte , un figlio di Auschwitz . Dimostrava tre anni circa , nessuno sapeva niente di lui , non sapeva parlare e non aveva nome : quel curioso nome , Hurbinek , gli era stato assegnato da noi , forse da una delle donne , che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva . Era paralizzato dalle reni in giù , ed aveva le gambe atrofiche , sottili come stecchi ; ma i suoi occhi , persi nel viso triangolare e smunto , saettavano terribilmente vivi , pieni di richiesta , di asserzione1 , della volontà di scatenarsi , di rompere la tomba del mutismo . La parola che gli mancava , che nessuno si era curato di insegnargli , il bisogno della parola , premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva : era uno sguardo selvaggio e umano ad un tempo , anzi maturo e giudice , che nessuno fra noi sapeva sostenere , tanto era carico di forza e di pena . Nessuno , salvo Henek : era il mio vicino di letto , un robusto e florido ragazzo ungherese di quindici anni . Henek passava accanto alla cuccia di Hurbinek metà delle sue giornate . Era materno più che paterno : è assai probabile che , se quella nostra precaria convivenza si fosse protratta al di là di un mese , da Henek Hurbinek avrebbe imparato a parlare ; certo meglio che dalle ragazze polacche , troppo tenere e troppo vane , che lo ubriacavano di carezze e di baci , ma fuggivano la sua intimità .
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