4:48 Psychosis
18 Maggio 2011
Una scena ingombra coperta di terra e avvolta da pagine e pagine scritte.
Vecchi lampadari che sembrano residui di una cantina abbandonata, corde
penzolanti e specchi in frantumi, e quindi taglienti, a intralciare il percorso.
Due sedie, forse tre, degli strani contenitori di palline che ricordano il gioco
del lotto, o quei dispenser che in cambio di una moneta ti regalano un
giochino, un dolcetto, insomma qualcosa che diletta i bambini e che ha a che
fare con la speranza e la sorte.
E poi ancora uno specchio, questa volta inclinato e appeso alla parete, che
dovrebbe riflettere al pubblico la sua immagine. La sua. Quella di chi ci
accoglie accovacciata a terra mentre gioca con un mazzo di carte giganti, a
interrogare il destino o a maledire di esistere. Quella di chi si dispone a dare
voce e corpo alla più tormentata scrittrice e drammaturga di questi ultimi
anni.
Sarah Kane, morta suicida nel 1999, dopo un durissimo 'testamento'
consegnato alla scena. Anzi, alla pagina, poiché Psychosis 4:48 è un lungo
monologo privo di indicazioni, piuttosto un flusso ininterrotto di parole che
lasciano chi interpreta in libertà 'non vigilata', esposto agli umori che il testo
riserva. Si può obiettare che questo è il teatro.
Sì, ma in certi casi il teatro è più teatro che mai, e l'assenza di rete
costringe il regista a inventarsene una, con il rischio di sacrificare alla propria
visione le sollecitazioni che si vanno a creare. Non è accaduto a Elena
Arvigo e Valentina Calvani, rispettivamente attrice e regista della versione
in scena al Teatro in Scatola di Roma fino a domenica, grazie a una
auspicata proroga di una settimana.
Un lavoro, il loro, che scarnifica il testo e consapevolmente opta per una
chiave di lettura sul filo sottile tra adesione e racconto, tra partecipazione e
straniamento. La Arvigo è assai brava nel tener fede a questa
consegna, e mentre porge le parole con grazia inviolata,
indisturbata e incolume, mostra la tentazione violenta di viverle, di