La scena è ricoperta di terra ed oggetti stranianti: lampadari barocchi appoggiati sul
pavimento interrato, due sedie di diversi dimensioni e aspetto ed un mobile contenente
palline da ping pong e che gira come fosse le ruota della lotteria. Ma soprattutto, la
presenza di specchi ovunque: sul fondale, appesi su delle corde in una parete laterale e
sparpagliati su tutta la superficie pezzi di specchi rotti che nei momenti più intimi con
una luce più fioca riempivano le pareti nere dellʼintera sala con la luce del loro riflesso.
Lo specchio come arma con ferirsi, come ricerca della propria identità o forse come
repulsione per ciò che vi si vede riflesso.
È uno spettacolo che parla dʼamore, di follia per questo amore non corrisposto e del
rifiuto subìto ma anche di unʼincredibile lucidità che si presenta puntualmente alle ore
4:48: lʼora esatta della notte in cui i malati di depressione ottengono la più chiara e
lucida visione dei loro sentimenti mentre ad osservatori esterni sembra che soffrano la
loro psicosi più intensa.
Il linguaggio è di una poesia tale da arrivare dritto alla sfera emotiva, poiché nella follia
possiamo essere tutti coinvolti; la differenza tra gli esseri umani sta solo nel diverso
modo di affrontarla.