Come in tutte le relazioni, lo sappiamo bene, ci sono pure i litigi (altrimenti la tensione come si crea?): le cose piccole, come quando ci sono look, gaze, watch, eye tutti insieme appassionatamente in due righe, e allora giù di cinquanta sinonimi in una frase solo, per la disperazione della povera editor a cui il mio lavoro arriverà, posso presumere. Oppure le cose grandi, i maledetti doppi sensi intraducibili o i divani in una stanza che da due diventano all’improvviso tre e tu non sai che pesci pigliare (al contrario dei personaggi, loro ce l’hanno sempre molto chiaro).
È tutto compensato, però, dalla soddisfazione di sentirsi dire della tua bossa che sei una maghetta, perché sei riuscita a rendere comprensibile una certa scena a tre con troppi ninnoli, troppe braccia, troppe bocche e troppi “lui”. Oppure, quando saltelli per la stanza perché ti è arrivato il seguito della storia di un negromante impertinente e sai già che ti piegherai in due dal ridere alle sue uscite, e ti è impossibile non considerarlo un po’ anche un tuo bambino, perlomeno concesso gentilmente in affido.
Grazie alla Quixote, mi sento migliorata in tantissimi aspetti, da una conoscenza un po’ più approfondita del mondo dell’editoria a progressi anche nello stile dei miei piccoli esperimenti scrittori. E, soprattutto, non smetto mai divertirmi, grazie al team delle altre traduttrici e alle uscite venete a suon di vino e crepes. Siete una famiglia fantastica in cui so di essere solo una piccolina, ma in cui non smetto mai di sentirmi a casa.
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