Portfolio 2018 | Page 5

LUNEDÌ 29 GENNAIO 2018 PRIMO PIANO | Eco di Biella LA SCHEDA Industria 4.0: la fabbrica smart Col termine ‘Industria 4.0’ - usato per la prima volta nel 2011, in una fiera di elettronica ad Hannover - si indica un nuovo modello di produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa, conseguenza del proces- so di digitalizzazione in atto. Un modello che ci porterà verso la ‘quarta rivoluzione industriale’, dopo le prime tre che - nei secoli scorsi - hanno visto profonde trasfor- mazione del sistema produttivo, legate alla disponibilità di nuovi strumenti tecnologici o di nuove fonti energe- tiche. La prima rivoluzione industriale, nella seconda metà del 1700, ha riguardato prevalentemente il settore tessile-metallurgico e ha visto l'introduzione della mac- china a vapore; la seconda, avvenuta a partire dal 1870-1880, è avvenuta con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio; la terza, che ha preso il via intorno al 1960-70, è nata dall'introduzione mas- siccia dell'elettronica e dell'informatica nell'industria. La | 3 fabbrica 4.0 è totalmente è profondamente smart, intel- ligente: un mix di robotica, sensori, connessione in rete, programmazione, Big Data (la capacità di raccogliere, analizzare e utilizzare la mole di dati a disposizione) e IoT (l’Internet delle cose, la possibilità di collegare in rete apparecchi che si scambiano informazioni). In Italia, il termine è apparso ufficialmente nel 2016 con il Piano Nazionale Industria 4.0 (successivamente ridefinito ‘Pia - no Nazionale Impresa 4.0’), un insieme di misure volte a favorire gli investimenti nel nuovo settore. IL CONFRONTO Nell’incontro Acli la new economy ai raggi X Rivoluzione 4.0 e lavoro: luci e ombre Rondi: «Più opportunità, ma servono competenze». I dubbi di Rosati e don Perini Una nuova economia, che apre un mare di possibilità per chi avrà le risorse, soprattutto culturali, per coglierle. Ma gli altri? Come governare questo processo, affinché produca sviluppo sostenibile e lavoro dignitoso? Non rischia di es- sere solo un modo per ridurre i costi, a vantaggio di pochi e producendo masse di ‘disoc- cupati tecnologici’? Ci aspetta un mondo migliore oppure cresceranno le diseguaglianze e la povertà? Questo il tema cruciale af- frontato nell’incontro - orga- nizzato dalle Acli di Biella insieme a numerose realtà che operano nel sociale – di ve- nerdì scorso all’Itis, dal titolo “Il lavoro nell'era dell'indu- stria 4.0: rischi e opportuni- tà”. A confronto punti di vista assai diversi: quello delle im- prese, rappresentate da Er- manno Rondi, amministrato- re delegato Incas e respon- sabile per Confindustria na- zionale del gruppo di lavoro sulla formazione professiona- le; quello delle Acli, Asso- ciazioni Cristiane Lavoratori Italiani, con il presidente na- zionale Roberto Rossini; e domicilio. Lavoro a chiama- ta, iper-precario, sottopagato, frammentato e individualiz- zato, di fronte a cui concetti come quello di ‘contratto col- lettivo di lavoro’ perdono ogni significato. Come tutelare questi lavoratori, come far sì che i benefici della rivoluzio- ne digitale arrivino fino a lo- ro? I RELATORI Ermanno Rondi, il moderatore, don Giovanni Perini e Roberto Rossini (Foto Sartini) quello di don Giovanni Pe- rini, direttore della Caritas di Biella. E’ ottimistica la visione di Ermanno Rondi: la fabbrica non può che adeguarsi alle esigenze di un consumatore che il web ha reso sempre più evoluto e informato. Ci aspet- ta dunque un futuro ipertec- nologico, dove però – a fianco delle competenze tecniche – la cultura umanistica sarà sempre più necessaria per af- frontare complessità e cam- biamento. Il lavoro non scom- parirà ma cambierà radical- mente: non più legato al tem- po e allo spazio, orientato ai risultati, relazionale e crea- tivo, multitasking, Ict driven, cioè guidato dallo sviluppo t e c n o l o g i c o. Il mondo del lavoro sarà sem- pre più polarizzato: ricco di opportunità inedite per chi di- sporrà delle high skills, le competenze elevate richieste dal mercato, ma sempre più difficile per la manodopera poco qualificata, facilmente sostituibile dalle macchine. Un mercato del lavoro com- plesso e contraddittorio, se- condo Roberto Rossini: se da un lato la digital economy ri- chiede professionalità nuove e qualificate, dall’altro necessi- ta di servizi basati, al con- trario, su manodopera dequa- lificata e a basso costo. L’e-commerce apre un mon- do sfavillante di opportunità (e di profitti, per alcuni) ma avrà sempre bisogno di qual- cuno che - in qualche parte del mondo - produca i beni ven- duti, spesso a condizioni inac- cettabili. E, a valle, ci sarà sempre un ‘ultimo miglio’ in cui il prodotto viene mate- rialmente consegnato al clien- te. E’ il ‘lato B’ dell’economia digitale, fatto di sfruttamento vecchio e nuovo: come la gig economy, l’economia dei ‘la- vo r e t t i ’ (gig in inglese signi- fica ingaggio) nata attorno al- le piattaforme digitali, da Uber alle consegne dei pro- dotti acquistati su Amazon, ai riders che ci portano il cibo a E c’è un altro ‘lato oscuro’, evidenziato da don Perini: l’e- conomia digitale avrà forse effetti positivi, ma ampie fa- sce di popolazione, che non hanno le capacità o le risorse necessarie, o che semplice- mente sono nate nel luogo sbagliato, ne resteranno esclu- si. «Non si sceglie dove si na- sce, come si nasce. Ci sarà sempre chi non ce la fa. Che ne facciamo di loro? E allora non basta innovare la produ- zione, occorre trasformare la società. Le diseguaglianze producono conflitti e, se non riusciamo a ridurle, non ci sarà un mondo migliore. E’ vero, la storia non possiamo fermarla: però possiamo cam- biarla». l Simona Perolo