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“Perché la crisi”
facilmente collassare, quindi, o implodere: esso è destinato, anzi, a creare
periodicamente crisi economiche (le quali non sono cicliche, sebbene
condizionate e determinate dalla quantità stessa di moneta, dalla sua velocità di
“riproduzione”, dalle “forze-concorrenti” presenti nel settore, dalle volontà,
decisioni umane, spesso arbitrarie, che ne determinano “l‟ammasso”, ovvero, la
destinazione, l‟allocazione).
E in una realtà, quale la nostra, esageratamente monetarista e globalizzata
(considero, soprattutto, la velocità e la facile possibilità di spostare l‟allocazione
delle risorse disponibili), il debito pubblico è, ancor di più ché in passato, un
mezzo per assoggettare una nazione, specie se impossibilitata a battere moneta
e a proteggere la propria economia. Il “popolo indebitato e immobilizzato” sarà
sempre “tenuto per le briglie” dai “suoi creditori”. Oggi, quindi, il debito, quale
mezzo di potere che bisogna “creare” e “alimentare”, se si vuole dominare o
continuare a farlo! E questo si fa. Oltretutto, si genera un trasferimento di
ricchezza dalle casse dello Stato e dalle tasche delle singole famiglie delle classi
lavoratrici alle già pingue casse delle caste che detengono il potere politico ed
economico (prima, ciò avveniva, specialmente, tramite l‟inflazione, specie quella
non controllata, chiamata con un termine bruttissimo “galoppante”). Il valore
reale del debito viene stabilito non dallo Stato che l‟ha sottoscritto, bensì dai suoi
creditori: i quali sono in grado di farlo variare in funzione dei loro interessi. Altro
che libero mercato!
Nell‟era della globalizzazione, ovviamente, tali poteri reali possono trovarsi
in mani di soggetti che, formalmente, non fanno parte del dato Stato, sebbene lo
condizionino e l‟obblighino, lo pieghino ai propri voleri (i loro referenti locali,
specie di vassalli, ben foraggiati - 51).
Di tutto questo e d‟altro, è vero, abbiamo scritto nel 2011, nello studio
“Perché la crisi”.
Sennonché, certe “esternazioni” (parola che richiama il suono di
“starnazzare”) del Presidente della Repubblica, per il quale, in sostanza, o si fa
quello che decide il Governo (52) o si sarà schiacciati dalla Globalizzazione, mi
hanno spinto a riproporre questo mio lavoro, senz‟alcuna presunzione e falsa
modestia, insieme. A più di due anni di distanza da quando esso è stato scritto
non è cambiato nulla nella situazione economico-sociale in cui si trovava l‟Italia
e l‟analisi resta, purtroppo, valida e attuale.
Il grossolano tentativo di disinformare (non credo, infatti, che il Presidente
non sappia cos‟è la Globalizzazione e non abbia cognizione del suo essere
oggi), prospettando la Globalizzazione come uno spauracchio prossimo venturo,
fa amaramente sorridere. La Globalizzazione ha già schiacciato la rampante
economia italiana che diversi lustri addietro si permetteva di gareggiare con
51
NOTA - Le azioni, gli atti dei nostri uomini politici e il loro tenore e stile di vita (non
giustificato nemmeno dai lauti compensi ufficialmente accaparratisi) parlano chiaro.
52
NOTA – Governo “Letta”.
Nino Marchese