Con il rischio di potersi ritrovare in un non luogo dentro un altro non luogo.
“E allora dovrei tornare a fotografare i luoghi veri”? Potrebbe funzionare. Non avrei mai immagina-
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tutto a fuoco vorrebbe dire ottenere una maggiore leggibilità dello sfondo e del contesto. Oppure
uguale a centinaia di altri nel mondo, un vero e proprio luogo.
L’ idea, abusatissima ormai, di collocare un pianoforte all’ interno degli aeroporti e stazioni, potreb-
be sembrare un tentativo di relazione sensoriale tra chi fruisce e chi esegue la musica.
La spettacolarizzazione ha però relegato il fenomeno al mondo virtuale di YouTube che ormai
seconda ipotesi: la documentazione di un luogo dentro un non luogo. Eppure riteniamo che
quella splendida esecuzione vada immortalata. Lo stesso Augé porrà l’esempio del turista in un
luogo esotico intento a riprendere con la telecamera un posto che si sta perdendo di visitare.
Ma la sensazione di vuoto che si percepisce nell’attraversare un non luogo è completamente
diversa dalla solitudine dei quadri di Hopper. La tensione e la prevedibile risoluzione della stessa,
grazie al potere empatico delle opere, che spingono il fruitore ad avvicinarci ai soggetti, sono
totalmente assenti dell’ attraversamento delle grandi mall: tanto i contesti dei quadri di Hopper
sono riconoscibili nonostante siano immaginari tanto i centri commerciali sono irriconoscibili,
inquietante.
E allora proviamo a scattare il reale: tutto a fuoco, f64. Proviamo a “scambiare lo sguardo” di cui
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ne l’ipotesi residuale: l’ammissibile narcisismo sotto forma di autoritratto privo di un luogo reale
come sfondo. E noi come unico soggetto. Così si sviluppa la terza ipotesi: un non luogo dentro un
luogo.
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