Il museo Guatelli è innanzitutto un iper luogo che costru-
isce identità. Estensione del pensiero, taccuino colmo e
traboccante di segni che componendosi de-scrivono sui
muri, elenco apparentemente disordinato di tracce
d’umanità, testimonianza storica che evoca nostalgie di
un passato prossimo, ma dimenticato e da dimenticare
perché simbolo e sintomo di povertà; simulacro di
sapere, caos e trionfo di pazienza e dedizione, folla di
voci, marasma, inquietudine assottigliata, frastuono
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mia dell’immaginario, fantasmagoria di forme che
evocano cose, che a loro volta evocano azioni, che
evocano mestieri, che evocano persone, singoli uomini,
nomi propri.
Quando ho visitato il Museo Guatelli, ho immaginato
che ogni oggetto potesse essere sostituito da un nome
proprio e che quell’elenco di nomi mi ricordava un libro
di Gogol, “Le anime morte”. Lo avete letto?
In questo romanzo il protagonista Cìcikov pensa di fare
(servi della gleba dell’Impero russo che vengono censiti
ogni 5 anni) ma che sono già defunte. E non appena si
ritrova di fronte alla lista di nomi dei contadini, ricca di
annotazioni e di rimandi a patronimici e familiari, comin-
cia ad immaginare chi fossero quei nomi, a chi fossero
appartenuti.
Guatelli dunque come Gogol che visionario lascia traccia
di uno spaccato di umanità, un’umanità che la gente del
ma una umanità povera sì ma ironica, piena di risorse, di
immaginazione.
Di quel che mi ha lasciato e colpito di più di questo viag-
gio, nella camera delle meraviglie guatelliane, vi propon-
una volta, in una mia personale visione, quanto ho visto
e ho letto sui muri in una fascinazione magica, oniroide,
artefatta. Omaggio ad un uomo davvero originale.
Foto di Cristina Pantellaro
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