Cooperativa sociale Arcobaleno
(www.cooparcobaleno.net)
Cosa
facciamo «Gestiamo per conto di Amiat (la Azienda Multiservizi Igiene
Ambientale Torino) la raccolta differenziata della carta in città. Il
servizio è svolto con il sistema porta a porta ed è rivolto, senza costi
aggiuntivi, a tutti coloro che pagano la tassa raccolta rifiuti: privati,
uffici, ditte, grandi utenze... Attraverso questa attività creiamo oppor-
tunità di inserimento lavorativo per persone svantaggiate, che così
diventano, da potenziali “scarti” della società, soggetti che creano
valore economico e sociale.
La cooperativa si occupa di riciclo, non di riuso, anche se i due
ambiti si collocano dentro la medesima cornice: quella di una pro-
spettiva economica sostenibile. Per un periodo abbiamo realizzato una
attività nell’ambito dei Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed
elettroniche) con un partner privato, che però si è ritirato constatando
la scarsa redditività dell’impresa».
Criticità e
prospettive «Arcobaleno non si occupa di riuso, ma potrebbe essere un attore
comprimario utile se il pensiero di una visione ecologista, tutta volta
alla sostenibilità, diventasse strategico. Potrebbe ad esempio essere
un sostegno se si costruisse una filiera produttiva legata al riuso dei
beni. In questo caso i 200 furgoncini oggi impiegati per la raccolta
della carta potrebbero essere una risorsa.
Certamente sarebbe importante costruire una filiera legata al riuso
degli oggetti. Mettere in connessione la domanda e l’offerta, che in
questo momento non si incontrano nonostante vi sia una diffusa do-
manda di usato nella crisi. Lo sforzo dovrebbe orientarsi nella dire-
zione di facilitare l’incontro tra domanda e offerta».
turale in questo senso. Si potrebbero riutilizzare con il software libero
a un costo irrisorio.
Potenzialmente c’è un bacino di ragazzi che potrebbero imparare
ad aggiustare pc, cellulari, tablet. E potenzialmente c’è un mercato.
Occorrerebbe il sostegno delle istituzioni.
Il mondo del riuso è vasto, noi ne siamo un pezzettino. Il problema
è che manca l’elemento di riconoscibilità comune. Si è un po’ tutti
artigiani del pezzettino. Si potrebbe costruire uno spazio comune,
riconoscibile – una sorta di Casa del riuso – per dare forza a tutti i
soggetti attivi in questo ambito. Dar vita a un luogo dove mettere
insieme tutta la filiera potrebbe avere anche ricadute occupazionali».