My first Magazine Animazione Sociale | Page 36

studente mi domanda «scusi, ma dove trovo tutto questo nella realtà?», lo spiaz- zamento mi coglie. C’è stato un tempo in cui queste visioni avevano una traduzione politica; perché c’erano visioni contrastan- ti che dialogavano o si combattevano tra di loro e tu col tuo voto lasciavi un segno sulla scheda che corrispondeva più o meno a una visione. Ma oggi? Paolo Di Paolo Se tu sei convinto che «niente è inutile», anche laddove aleggia il disincanto preven- tivo che ti vuole convincere che, dato che non c’è niente da fare, tanto vale adattar- si, riuscirai a sottrarti alla sua tentazione. Però la domanda che pone il ventiseienne Felice è impegnativa: può ancora essere la politica il luogo in cui si esprime questo impegno? È vero, chi come me è nato negli anni ’80 e chi come lui negli anni ’90 condivido- no questo sentimento di disappartenenza politica. Forse con una piccola differenza: che la generazione degli anni ’80 è stata l’ultima a formarsi scolasticamente entro il '900. È un dato statistico, però ha un suo contraccolpo psicologico, perché le cate- gorie novecentesche noi le abbiamo ancora un po’ sfiorate, sia di natura ideologica che spirituale. Per quelli nati negli anni ’90 – non parliamo poi di quelli nati negli anni 2000, che sono completamente post-no- vecenteschi, post-ideologici – l’anagrafe dice ’900 ma tutta la loro vita è nel nuovo millennio. E quelle certezze che il ’900 con- segnava quasi in automatico, erano lette- ralmente polverizzate sul finire del secolo. Questo che significa? Che quando tu vai in una scuola – cosa che a me capita fre- quentemente – e chiedi ai ragazzi se in pro- spettiva sarebbero disposti a impegnarsi attivamente in politica, la risposta di solito è un ghigno. Come a dire: «Ma è un com- promesso!». C’è un automatismo ormai tal- mente invasivo e demagogico, per cui fare politica equivale a compromettersi. Questo preconcetto è ben difficile scalfirlo. Dopodiché, se fare politica significa mettersi nel campo dei diritti sociali e nel campo dell’etica, non per forza impli- ca iscriversi a un partito. Però la disaffe- zione alla politica è un problema perché il rischio è che si traduca in disaffezione alla democrazia. E infatti l’astensionismo diventa sempre più ferocemente ampio, e questo è pericolosissimo perché si lascia fare ad altri che comunque faranno. Però è vero quello che dice Felice: io ho sempre votato – e questo forse a livel- lo novecentesco l’ho un po’ assorbito: il diritto-dovere del voto – però che l’abbia fatto con la baldanza felice con cui altre generazioni hanno pensato che il voto ve- ramente contribuisse a un cambiamento e non a una sottrazione, questo non mi è mai accaduto. Forse, come diceva Eleonora, bi- sogna ricostruire un pezzo di racconto, ma non saprei dire né da dove né come. Come possiamo oggi scorgere un orizzonte che ridia vigore all’impegno sociale e politico? A cosa possiamo agganciarci? Eleonora Artesio Io mi aggancerei alla presa d’atto dell’ingiustizia che sta alla base delle con- dizioni materiali. Per questo mi stupisco che le persone non ne assumano coscienza e non costruiscano modalità di dibattito pubblico, di opzione politica, che provino a cambiare lo stato delle cose. Provo a spie- garmi con tre esempi concreti. Il primo riguarda le diseguaglianze di salute. Abbiamo fior di letteratura che ci