Si potrebbe sostenere che quelle riflessioni
hanno una caratteristica tolemaica, in quanto as-
sumono la centralità del soggetto e non della rela-
zione nell’individuazione e nell’esperienza umana.
Ma quale rilevanza avrebbe oggi un dibattito che
assumesse il modello tolemaico come base di com-
prensione del sistema solare?
L’empatia è un regolatore della nostra intersog-
gettività e socialità, pertanto sostiene ogni forma di
approssimazione e di individuazione di ognuno di
noi. Se è stato un paradosso concepire un io senza
un noi, l’empatia è costitutiva della nostra esistenza
come lo sono gli organi vitali. La mente e le sue
fenomenologie sono espressione del nostro corpo
e del nostro cervello e, in particolare, del nostro
sistema senso−motorio.
L’empatia nelle sue manifestazioni mostra affi-
nità rilevanti con l’estetica intesa secondo Gregory
Bateson, come sensibilità alle relazioni, e come tale
riguarda il rischio primario che è insito in ogni rela-
zione. La relazione, infatti, può essere intesa come
quella situazione che non sai mai come va a finire.
Allora è importante prendere le distanze da affer-
mazioni che sostengono che l’empatia rafforzerebbe
le forme altruistiche e cooperative dell’interazione
sociale. Anche la più cruenta forma di esclusione o
di tortura dell’altro implica la necessità di sentire
e sapere che cosa può offenderlo o fargli del male.
Il supporto
di una famiglia di parole
Questi temi sono stati approfonditi in modo ini-
mitabile da Gregory Bateson, che aveva messo a
punto il costrutto del «mordicchiare» per indicare le
dinamiche ambigue che caratterizzano ogni relazio-
ne. Come avviene per due delfini
che, al massimo grado dell’inte-
razione, sperimentano la dispo-
sizione di uno a esporre la parte
più delicata del proprio corpo
(il collo e la vena giugulare) alla
bocca dell’altro che lo mordicchia
e che se solo serrasse un poco di
più i denti potrebbe ucciderlo,
alla stessa maniera noi esseri
umani ci approssimiamo all’al-
tro, ma fino a un certo punto. La
distanza necessaria diviene così
parte integrante della relazione
e condizione della sua qualità e
della sua durata.
Sembra dunque necessario
cercare di uscire dalla confusio-
ne che spesso riporta l’empatia ai
meccanismi involontari di imita-
zione e contagio emotivo, o alla
cosiddetta capacità di «leggere la
mente dell’altro».
L’empatia non sta solo alla
base della nostra capacità di sof-
frire per un altro, ma è parte della
disposizione a sentire quel che
l’altro sente in quel momento. Sta
alla base del mobbing nell’organiz-
zazione del lavoro, perché esclu-
dere qualcuno vuol dire avere un
sentire abbastanza approfondito
di ciò che gli fa male.
Tutto ciò non fa che sottende-
re una domanda, «la domanda», a
cui non possiamo sottrarci cer-
cando sotterfugi moralistici: cosa
ci resta della parola condivisione?
Avendo complicato il ragio-
namento in questo modo, adesso
abbiamo bisogno di fare qualche
passo avanti per uscirne, senza
pretese di soluzioni definitive.