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¶ LANTERNA MAGICA
Dare la luce
al buio del teatro
Conversazione con Alessandro Carletti
Rigoletto,
Teatro Massimo, Palermo, 2018
di Paolo Calafiore
Q
uali sono stati gli input che hai ricevuto
da John Turturro per il progetto luci di
Rigoletto, andato in scena a ottobre al
Teatro Massimo di Palermo?
La frase che mi viene in mente di John Turturro
la prima volta che ci siamo incontrati è “less
is more”. Questo per darti una misura della sua
esigenza. Ci siamo trovati da subito d’accordo.
Alto contrasto, tinte forti e una “oscurità
luminosa” che mettesse a fuoco la vicenda
ma allo stesso tempo la rendesse tenebrosa,
che potesse raccontare dall’inizio l’ansia
di un padre verso la propria figlia. Mi ha lasciato
libero di esprimermi. Quello che sostengo
per il mio lavoro è che sia importante entrare
in empatia con la regia. Riuscire a guardare
lo spettacolo con gli stessi occhi del regista.
E quali invece gli input che hai ricevuto
dagli spazi e dalle atmosfere delle scenografie
di Francesco Frigeri?
Con Francesco Frigeri c’è stata collaborazione
fin dall’inizio. Quando ci siamo incontrati
per la prima volta e mi ha mostrato
i suoi bozzetti è stata chiara fin da subito
la direzione da seguire, completamente
in linea con le indicazioni di John Turturro.
Ci siamo confrontati e consultati molto
rispetto ai colori e alle materie da utilizzare
per la scena. Abbiamo visto assieme
un po’ tutte le “grammatiche” prima di iniziare
l’allestimento, dall’utilizzo dei due tulle
alla tipologia di fondale.
Un’opera che ho molto apprezzato anche
grazie al tuo significativo lavoro è stata
La Damnation de Faust, in cui hai operato
una saturazione dello spazio attraverso la luce.
Come in un grande set televisivo (compreso
di steadycam), dominato costantemente
da luce bianca. Quali processi ed elaborazioni
hai svolto con il regista Damiano Michieletto?
Con Damiano Michieletto e lo scenografo
Paolo Fantin è un processo che si svolge
lungo tutta la durata dell’allestimento;
è una ricerca costante, continua.
La regia di Damiano è “luminosa” nella sua
essenza, racconta; spesso le indicazioni di luce
che trovo sono le stesse che offre agli interpreti,
tutto ha un peso, nulla è a caso. La definirei
una regia HD in alta definizione. Lo amo per
questo.
Con Faust l’esigenza è stata quella di
amalgamare i quattro ambienti di Paolo
nella stessa astrazione (no luogo, no tempo),
che erano: il coro disposto nella parte alta
della scena, lo spazio di recitazione,
i due corridoi e il video.
Tutto doveva avere la stessa cifra e il bianco
offre questo livello di astrazione.
La difficoltà è stata quella di mantenere
per tutta la durata dello spettacolo la stessa
qualità di bianco, fredda, che arrivasse
al limite della sopportazione visiva senza
superarlo, tenendo conto di una esigenza
importante: le riprese televisive.
Alla Fenice di Venezia, sempre con la regia
di Damiano Michieletto, hai affrontato
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