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¶ LIGHT ART
Le riflessioni
illuminanti
di Joseph Kosuth
di Jacqueline Ceresoli
cui l’attenzione deve porsi sulla definizione,
intorno alla sua lettura, in cui si mostrano le
qualità semantiche del linguaggio. Gli intrecci
delle sue operazioni mentali e concettuali nel
corso del tempo non sono soggetti a mode, come
svela Kosuth stesso in questa intervista rilasciata
in esclusiva per LUCE.
Secondo lei, cosa è arte concettuale in questo
nuovo millennio?
In tutta onestà, avrei solo una parola da dire:
arte. La maggior parte dell’arte che vediamo
ora nelle Biennali, nelle gallerie e nei musei
è in gran parte il risultato di quel cambiamento
della nozione di arte che abbiamo investigato
negli anni Sessanta. La presunzione che l’arte
sia pittura e scultura è ormai andata.
Quale eredità ha lasciato il gruppo
Art & Language in quest’era digitale?
È molto varia. Il primissimo gruppo, formato con
Terry Atkinson, Michael Baldwin, David
Bainbridge e Harold Hurrell, ha preso parte attiva
in quei cambiamenti che ho citato prima.
Ma negli anni Ottanta un gruppo “rivisitato” –
senza Terry Atkinson, Bainbridge, Hurrell e me
– è tornato alla pittura a olio tanto richiesta
Oggi, quali sono le sue “investigazioni”
e “proposizioni” sull’arte come idea che si
propongono di evidenziare la complessità
della relazione tra linguaggio e arte?
È una domanda di per sé semplice, ma
rispondere è cosa lunga e complicata essendo io
un artista piuttosto produttivo. Richiederebbe di
esaminare la lunga lista di miei lavori dagli anni
Sessanta in poi. Si tratterebbe più di un saggio
o di un libro, non di una risposta a un’intervista.
Cosa userebbe oggi al posto di ‘One and
Three Chairs’, 1965 per investigare la dimensione
teorica della natura dell’arte piuttosto
che la creazione delle opere?
Potrei rispondere meglio con un’opera
che con una risposta!
Cosa significano le sue installazioni tautologiche
al neon (ad esempio ‘Five Words in Orange Neon’,
1965)? Hanno ancora un significato oggigiorno?
Ora contengono il loro significato originario
arricchito di quella patina storica che gli è stata
inevitabilmente aggiunta.
Qual è stata l’ultima installazione a causare
uno stato di tensione emotiva che ha sconvolto
la sua visione analitica del lavoro artistico?
Nel caso dell’arte, non penso vi sia ragione,
o capacità, di separare la sfera emozionale
da quella analitica. Dobbiamo, comunque,
tenere a mente quanto la parte emotiva
non aggiunga nulla in termini di chiarezza,
pur essendo una forma di informazione.
Sean
L’
analisi delle convinzioni linguistiche,
etiche, giuridiche e culturali che riflettono
la nostra società è la materia dell’arte
concettuale, la quale si interroga sul significato
della natura dell’arte a prescindere dall’estetica,
senza tenere conto di giudizi soggettivi
e di gusto. Joseph Kosuth (Toledo, Ohio, 1945),
padre dell’arte concettuale, dal 1965 inizia
a lavorare con un insieme di opere
tautologiche sui materiali e sulle definizioni
elementari, e incentra la sua ricerca
sulla natura dell’arte risolta nelle serie
‘Titled (Art as Idea as Idea)’, 1966-68.
Una sua frase che include l’arte nell’ambito
filosofico come un’attività analitica
e investigativa piuttosto che nella produzione
materiale di manufatti. Dal 1969, dopo la sua
prima personale nella galleria di Leo Castelli
a New York, Kosuth è tra i principali agitatori
culturali della tendenza concettuale e tra i
protagonisti del gruppo Art & Language. Qual è la
funzione dell’arte in relazione alla sua forma di
rappresentazione e quale rapporto c’è tra forma
e sostanza, significato e significante? Queste
e altre investigazioni e proposizioni di ordine
semiotico intorno al linguaggio dell’arte sono
materia del suo analizzare la funzione e l’uso
dei processi linguistici che riflettono la cultura
che li produce. Tra le opere più significative che
mettono in scena le sue asserzioni, i suoi
‘Leaning glass’ del 1965, lastre quadrate di vetro
di 5 piedi per lato appoggiate al muro, in cui la
forma logica della proposizione elementare
“leaning glass” (letteralmente: vetro appoggiato,
N.d.R.) coincide con il dato di fatto, e il modo di
esprimersi diventa anche modo di presentazione.
Quando proposizione e presentazione
riproducono uno stato di fatto evidente in cui
l’oggetto stesso diventa linguaggio artistico e la
cui entità significante diventa immagine-parola,
allora l’idea evidenzia analogie possibili tra
linguaggio e arte. Altre due opere sono
emblematiche per comprendere la natura
gnoseologica della sua ricerca concettuale: ‘Neon’
e ‘One and Three Chairs’, entrambe del 1965. Due
lavori percepibili fisicamente ma che essi stessi
diventano strumento di logica e di
comunicazione. Per esempio, in quel “neon”
scritto con il tubo fluorescente il linguaggio
diventa visibile nel materiale stesso; pertanto,
quale sia il significato di un termine
necessariamente implica il chiedersi a che cosa
esso rimandi. All’artista interessano le forme di
presentazione di un concetto o di una idea, per
dal mercato e da tutti gli altri. Questo gruppo,
che era composto da Michael Baldwin e Mel
Ramsden con nuove aggiunte, è responsabile
di quegli infelici lavori passati sotto il nome di
Art & Language, nonostante ci fosse un accordo
perché smettessero di usare questo nome.
È un po’ come se i Beatles tornassero sulle
scene solo con George Harrison e Ringo Starr,
mantenendo il nome The Beatles. Beh,
la maggior parte delle persone non ne sarebbe
particolarmente entusiasta.
Joseph Kosuth, ‘One and Three Chairs’, 1965
MoMA Collection of The Museum of Modern Art, New York (Larry Aldrich Fund)
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