LUCE estratti LUCE 323 _ Calafiore _ Max Mugnai | Page 4
¶ LANTERNA MAGICA
La luce
in teatro,
mix di
matematica
e poesia
Conversazione con Max Mugnai
di Paolo Calafiore
Noosfera Titanic di e con Roberto Latini
Q
uali sono stati i tuoi esordi in teatro?
Attraverso quali percorsi ti sei formato?
Ho cominciato al Teatro di Via Speroni
a Roma, grazie al padre dei miei migliori amici,
regista nella compagnia del quartiere. Mi disse:
perché non vieni pure tu? Potresti fare l’attore…
L’attore no grazie, magari il tecnico.
Così comincia la mia avventura. È stato
un susseguirsi di occasioni non cercate ma
prese al volo quando mi si presentavano.
Nel ‘95 ho conosciuto la regista e performer
Ilaria Drago: cercava un tecnico per il suo
spettacolo… Andai a vedere una prova e già
scendendo le scale per arrivare al teatro-cantina
mi resi conto che stavo entrando in un mondo
diverso: la sua capacità di portare il suo teatro,
il suo modo, l’emozione che mi ha trasmesso.
È scoccata subito una scintilla. Era quello che
volevo fare nella vita: essere parte di quella
magia e fare sì che anche altri potessero provare
quello che avevo provato io.
Dalla nascita di Fortebraccio Teatro collaboro
anche con Roberto Latini. Mi ritengo molto
fortunato di lavorare con tutti e due.
Sono molto diversi ma simili: sono puro teatro,
genialità creative che brillano sul palco.
Ho avuto anche la grande opportunità di essere
l’elettricista di Maurizio Viani nella Compagnia
di Leo de Berardinis, con cui ho potuto girare
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LUCE 323 / LANTERNA MAGICA
nei più grandi teatri d’Italia.
Lavorare poi con la compagnia di danza
Sistemi Dinamici Altamente Instabili mi ha dato
un punto di vista differente dell’uso delle luci.
Uno scambio molto importante per me: loro
mi hanno portato verso l’esplosione della luce
in tutte le sue possibilità e io le ho avvicinate
al buio e al corpo che pulsa con la luce.
Che cosa pensi riguardo alla formazione del
ruolo del lighting designer teatrale in Italia?
Conosci realtà in ambito formativo importante?
O la classica gavetta rimane ancora l’unico
percorso valido per formarsi?
Ho sempre avuto difficoltà a definirmi
un light designer.
Il mio lavoro comincia dall’ideazione delle
luci dello spettacolo, continua nel montaggio
e prende forma definitiva nella replica.
La luce è come un attore in scena: ha il suo
copione, ma ogni sera è unica e irripetibile.
Non ho fatto scuole, non perché in assoluto
ne sia contrario, credo però che alcune cose
si possano imparare solo con l’esperienza.
Per me i tre anni trascorsi al fianco di
Maurizio Viani sono stati fondamentali.
Spesso rimanevo incantato nel guardarlo
muovere la luce. Mi diceva sempre:
“Non posso insegnarti nulla tranne
la pazienza, ma prendi tutto quello
che puoi con gli occhi”. Forse non poteva
insegnarmi niente, ma io da lui ho
imparato moltissimo.Il senso per me è capire
che anche la luce ha un respiro, e ognuno deve
trovare il suo modo di respirare.
Quali esperienze ritieni fondanti nella visione
del tuo lavoro di creatore di Luci per il teatro?
Il segreto è non perdere mai la curiosità,
sapere che c’è sempre qualcosa di nuovo
che posso imparare, lasciarmi la possibilità
di sorprendermi e vivere completamente
la bellezza di quello che sto facendo.
Non è cosa fare, ma come: riuscire a essere
presenti. Può sembrare banale, ma quando
ti succede ti rendi conto quanto spesso siamo
altrove. Non è quante luci ci sono ma come
le usi. Non è a che intensità devi arrivare
ma come ci arrivi, come la luce nasce dal buio
e come cresce fin dove è necessario in quel
momento. La luce ha la capacità di trasformare
lo spazio ma anche di crearlo dal nulla.
Quando faccio le luci per uno spettacolo
che non porterò in scena io, il lavoro più
importante è far comprendere l’idea a chi
se ne prenderà cura.
Non è possibile sbagliare se si ha chiaro
il senso e ci si concede la possibilità