LUCE estratti LUCE 322_Calatroni_Cino Zucchi | Page 6
Salewa Headquarters, Bolzano
2007-2011
scultura ambientale. Questa, a seconda della luce
o del punto di vista sparisce. Sulle due pareti
lunghe dell’edificio, una in alluminio naturale
e l’altra in alluminio verde, quando vi batte il
sole si ottiene un effetto ali di farfalla, cangiante.
Un effetto che non esalta il colore, ma la luce
colorata che vi si riflette. Anche in questo edificio
c’è il fascino dell’oggetto artificiale che prende
il carattere mutante dell’elemento naturale.
Come Boullée, non credo in un’architettura che
imiti figurativamente la natura, anche se con
Salewa ci avviciniamo molto, ma credo che
l’architettura mette in opera la natura nei suoi
effetti, non nelle sue forme.
I progetti di landscape come San Donà di Piave
e Lugano sono incentrati sulla ricucitura
dell’intervento umano e la relazione tra luce
artificiale/naturale. Ce ne vuole parlare?
Sulla relazione luce naturale/artificiale mi
vengono alla mente le due citazioni più note
a riguardo: la prima è quella di Le Corbusier;
la seconda è di Gio Ponti, “l’architettura del
passato era il gioco dei pieni e dei vuoti sotto
la luce” (Gio Ponti, Amate l’architettura, 1957,
N.d.R.). Noi architetti contemporanei siamo
passati da una cultura dell’architettura plastica,
dove l’ombra era il gioco principale, a una della
pelle, nella quale l’avvento della corrente
elettrica ha portato a un ribaltamento pieno/
vuoto, come in Mendelsohn. La luce artificiale
apre un ventaglio infinito di possibilità, più ve ne
sono e più serve controllo. Il rapporto naturale/
artificiale è un tema molto interessante, mi ha
sempre affascinato il momento del passaggio,
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quasi di cimento, tra le due. Il crepuscolo in città
ha questo momento delicato, in cui l’una passa
all’altra e per poco tempo convivono simultanee,
sono per me attimi molto affascinanti. San Donà
di Piave l’ho brevettato come il primo progetto
abbronzante, per la pietra bianca che riveste
i camminamenti e le colline, che riflette la luce
solare. Lugano è un gioco, è il segnale del
passaggio dal buio del tunnel alla luce esterna.
Abbiamo usato una tecnologia semplice, ma con
un tracciamento della quinta molto sofisticato.
L’illuminazione degli edifici viene ideata
e progettata internamente o è affidata a un
lighting designer? Se sì, che tipo di relazione
si instaura?
Nel tempo ho collaborato con vari lighting
designer, ma principalmente con Piero
Castiglioni. Non sempre ce lo si può permettere,
dipende molto anche dal cliente. Talvolta
è necessaria la competenza specifica del lighting
designer, in altri casi si dialoga con il progettista
d’impianti. Oggi, per quanto sia d’accordo,
l’obbligo della certificazione diventa un forte
vincolo se non un’ossessione che ingessa
il procedere del progetto. Per esempio la scala
interna di Lavazza, dove avrei voluto ottenere
alcuni effetti di luce molto teatrali, ma per una
questione di normativa sulla sicurezza non
è stato possibile. Credo che un architetto sia
come un regista che deve saperne abbastanza
di luce per poter parlare con il suo direttore della
fotografia ed esprimere le proprie idee. Conosco
il lux o la luminanza, ma con la tecnologia LED
si è arrivati a una tale complessità che si rende
necessaria la sofisticatezza di un lighting
designer. In alcuni casi uso le mie conoscenze
per determinare un particolare effetto, e forse
un po’ empiricamente riesco a ottenerlo.
In altri progetti molto più complessi deve
intervenire il professionista della luce. In fondo,
io sono come il medico generalista, che arriva
fino a un certo punto poi si affida agli specialisti,
con umiltà ma con delle conoscenze tali per
poter dialogare da pari.
Cosa ne pensa dell’illuminazione urbana
nelle nostre città?
Innanzitutto c’è il tema, importantissimo,
della sicurezza urbana. Ad esempio, Petra Blaisse
(paesaggista olandese, N.d.R.), che sta lavorando
al Parco di Porta Nuova, ha dovuto rivedere
in parte il progetto perché tutto deve essere
panottico e antiviolenza, ma anche antibacio.
Mi piacerebbe che nelle città ci fosse una sorta
di piano regolatore della luce, anche se capisco
che non tutto è governabile. Come certi eccessi
kitsch, vedi il Castello Sforzesco di qualche anno
fa. La luce urbana è un tema delicato, in cui
è importante capire dove dire e dove tacere.
Idee per i prossimi progetti?
Sono tante. Alcune nate per un progetto possono
benissimo finire in un altro, le idee si rincorrono
costantemente. In questi mesi sto muovendo
i primi passi nel mondo del design
d’illuminazione. Stiamo portando avanti
un progetto capace di far dialogare architettura
e design. Impresa non semplice, ma le idee sono
in movimento e troveremo una soluzione.