LUCE estratti LUCE 322_Calafiore_Conversazione con Pasquale Mari | Seite 7

Accendiamo i riflettori del Teatro alla Scala sull’Andrea Chénier? Andrea Chénier nasce dal nero. A esso si rivolge, da esso proviene. Le facciate e i volumi di volta in volta suggeriti da Margherita Palli attirano e respingono la Storia sfruttando la forza attrattiva e centrifuga di un pavimento girevole grande quasi quanto il palco della Scala che disegna le linee di fuga e di provenienza della luce dal buio circostante. È davvero un mondo scenico autosufficiente quello dello Chénier di Martone, dove la luce fissa fotograficamente l’azione nel tempo della musica per poi lasciarla tornare a dissolversi nel nero. Idealmente è come se la scena fosse rivolta a 360 gradi intorno a sé, ed è forse l’opera dove ho meno fatto ricorso all’illuminazione frontale. Perché un fronte assoluto non c’è, e grandi superfici specchianti riflettono il mondo che gira intorno al cristallo della scena, rivelandosi talora trasparenti e permettendo il passaggio a quello che sta oltre, dietro, a lato, di fronte. Ma proprio dalla sala, nel ruotare delle direzioni principali della luce, ha giocato questa volta un ruolo anche il proiettore seguipersona, strumento principe della frontalità. Quel raggio, che alla prima aria del tenore lo identifica come uno spillo, provenendo idealmente dall’occhio stesso dello spettatore, trova la sua controparte, nel finale, in un raggio che viene invece dalla profondità del palco, sole astratto dell’alba evocata dai versi conclusivi dell’opera ad avvolgere nel suo controluce i protagonisti chiamandoli al loro destino. Un raggio di luce frontale all’inizio chiama alla vita; un altro, uguale e contrario, nel finale risucchia Maddalena e Andrea verso la Morte, mentre il fondale nero finalmente si solleva su un bianco accecante... Ella vien col sole! Ella vien col mattino! Ah, viene come l’aurora! Col sole che la indora! 74 LUCE 322 / LANTERNA MAGICA i proiettori a LED diventano strumenti per me straordinari solo se al loro interno sono dotati, tra le altre, di singole sorgenti di luce bianca misurabile e abbastanza potente da poter essere usata anche singolarmente con un Indice di Resa Cromatica (CRI) non inferiore a 90. Ma detto questo, aggiungo una battuta. Smetterò di fare questo mestiere quando usciranno di produzione le lampade PAR... Non esiste niente di più semplice e versatile (e analogico) in grado su un palcoscenico di interpretare, proprio come un attore, il raggio solare, il suo calore, la sua capacità di materializzare l’aria e le cose. In generale questa “economia” nell’uso degli strumenti atmosferici implica l’interazione con la regia nella fase delle prove, cui cerco di essere presente il più possibile per poter imbastire un vestito luminoso che, lungi dal diventare una gabbia per gli attori o i cantanti, coincida senza sforzo apparente con i loro spostamenti sulla scena facendosi trovare puntuale all’appuntamento con l’acuto o il monologo, rinunciando programmaticamente ad artifici come il seguipersona. Maria Stuarda di Gaetano Donizzetti, regia Andrea De Rosa, 2010 The matter of darkness A conversation with Pasquale Mari Y our debut will be with the Opera Andrea Chénier on the 7th December, at Teatro alla Scala; however, if you look back, what moments and images do you remember of your initial activity? It is true, I admit, I feel this debut at the inauguration of the Opera Season of the Teatro alla Scala is one of the key points of my work up to now. I would have never thought, nor hoped, when I first began, that this would happen to me one day. I also did not think I would have ever worked in the area of lyric opera; I did not even think I would always work in the theatre ... You see, the approach of a neophyte has been a constant in my work life. I was a filmmaker and young critic when we founded Falso Movimento (false movement) with Angelo Curti, Mario Martone and Andrea Renzi in 1979, and our work was generally performative, site-specific as it is commonly described today, multimedia as it was described before, and our presence was required alongside our technologies (Super 8 movie projectors, slide projectors) on stage. We had graduated in Literature, specialising in Theatre, we worked on stage in half of the Italian theatres. We were unprepared, we were taught the techniques used on stage, and were constantly told that no, we would never stop doing what we were doing… and that was exactly how things did go. Our one vocation was lighting, it was like a calling, I felt it when preparing one of our most ambitious projects, Ritorno ad Alphaville (Return to Alphaville), a new version of Godard’s movie, Alphaville for non-theatre spaces, in 1986. One of the scenes of the movie that we were studying, in particular. Suddenly in a large space of Godard’s sci-fi set, a long series of neon tube lights turns on, shifting the scene from black to white, and someone comments, “Oh, it is daytime …” When you started, what influenced your thoughts and your methodological approach towards light? Mainly, what has most influenced me has been lighting for the cinema. The black and white North European movies prior to World War II – Murnau, Lang, Dreyer – and American cinema in the 40s and 50s, in which the excellent lighting was often created by operators who had escaped the war in Europe. The grazing light on each frame in the movies of an experimenter like Josef Kubelka, who designed utopian cinema halls in order to obtain maximum concentration of the spectators. And last, lights in American cinema in the 70s on the roads (Scorsese) and in the great epic productions (Coppola). I remember an entire day closed indoors with the group of friends I mentioned before, to see the sequence of The Godfather, parts I and II. Who were your Masters? When I was a young boy I also used to go to the theatre. I still remember the charm, for all the senses,