LUCE estratti LUCE 320_De Caro_Dante O Benini | Page 5
Italia soprattutto, quando l’aspetto della scienza
illuminotecnica, in cui i paesi nordici erano molto
più avanzati di noi, è stato stritolato dall’estetica
iconica delle nostre lampade, oggetti di culto che
enfatizzavano la bellezza, spesso senza guardare
alla scienza, come è giusto nell’evoluzione del
design. Oggi l’ambito etico (risparmio energetico,
inquinamento, ambiente) ha trovato la giusta
dimensione rispetto allo spettacolo estetico, anzi
è diventato l’aspetto determinante nel nostro
lavoro e in quello del lighting designer.
Il progetto d’architettura spesso divora tutte
le sue componenti, quanto incide il controllo
poetico della tecnologia sul risultato finale
di un edificio?
Incide molto, in tutti processi di costruzione
dell’involucro; è presente in ogni ambito,
con un effetto che potenzia positivamente
il risultato finale.
la luce mi consente di dare spettacolo sulla città.
Poi non dimenticare che la mia posizione
teorica è organica, da Zevi a Scarpa e a tutte
le declinazioni legate alla dinamicità
dell’architettura, e dunque l’orientamento
diventa un aspetto vincolante nel processo
di costruzione di qualsiasi progetto, è un
racconto che la luce modifica fino a sorprendere
l’architetto stesso. Le forme del disegno
diventano “altre”, quasi che il progettista non
ne fosse consapevole fino in fondo.
Un’incidenza morfologica che non ti aspetti,
una collaborazione necessaria per un risultato
inaspettato, e questo dà forza e corpo
all’architettura; per gli interni c’è maggiore
possibilità di controllo, ma è fondamentale
il rapporto con il lighting designer che possa
interpretare quel tracciato che è il programma
di ogni progetto. È un lavoro di team.
Nella sua lunga carriera ha avuto modo
di collaborare con lighting designer, oppure
è un settore specifico esistente all’interno
del suo studio di Milano?
Sempre e solo all’esterno: ho collaborato
con studi di lighting designer, non ho mai avuto
all’interno del mio studio professionalità
di questo tipo, anche se ho una grande passione
per questa materia, ma il confronto di
competenze mi piace e migliora, ottimizza ogni
progetto. Io esisto come architetto perché esiste
la multi-disciplinarietà, ho sempre bisogno
di un tavolo di confronto, ma in un ambito
che mi è congeniale, ogni collaboratore deve
condividere esperienze e visioni di una modalità
32
LUCE 320 / INCONTRI
di produzione della mia architettura.
Non è quindi solo uno specialista, ma deve avere
quella sensibilità per capire che tipo di edificio
voglio e devo realizzare. Ho collaborato
con Castagna e Ravelli, che di fatto lavorano
per il teatro, che sanno usare la luce, ma anche
con molti altri anche se oggi mi impressiona
per la sua capacità Dean Skira.
Come è mutata nel corso degli anni
l’attenzione degli architetti rispetto al progetto
illuminotecnico degli edifici?
Rispetto al passato è cambiata molto anche
perché un uso intelligente della luce artificiale,
oltre agli aspetti energetici, aiuta molto il
progetto, qualsiasi progetto; nel nostro mestiere
si ha bisogno di un uso corretto della luce.
Quali sono secondo la sua esperienza
le scuole nazionali con un interesse maggiore
sull’argomento light design?
Esistono scuole per interessi storici consolidati,
nati da esperienze antiche, come nei paesi
anglosassoni che sono sempre stati più attenti
alle questioni del progetto illuminotecnico;
in generale i paesi nord-occidentali sono gli
esempi di questo studio dedicato alla luce
come componente determinante dell’architettura
nelle migliori Università nel corso del tempo.
Ma questo dipende anche dalla specializzazione
sempre sentita in quei paesi che si
contrapponeva al progetto dell’“architetto
tuttofare”, esempio romantico e artigianale
dei paesi del sud Europa. Questo prima della
nascita del design moderno del dopoguerra, in
Mi può fare un esempio, tra i suoi edifici
realizzati, dove la dinamica tra le componenti
del progetto “luminoso” ha raggiunto una sua
caratteristica esplicita?
Usando la lamiera microforata ho potuto
sperimentare l’evoluzione dal rapporto tra masse
costruite e luce nel corso delle ore del giorno;
dall’esterno sembra una lamiera piena,
dall’interno la massa sparisce, e come se avesse
una sua autonomia, e la luce ne esplicita queste
caratteristiche. Vedi in via Valtellina con questo
edificio che ha cambiato il volto della via,
della zona, o come nel palazzo della Geox in via
Torino, con quello scudo policromo chiuso
di giorno che di notte esplode con un fascio
di luci che si perdono nel cielo di Milano.
Due episodi lontani tra loro, il primo del 2000
e il secondo di dieci anni più tardi.
O nel grattacielo di Istanbul, dove abbiamo
usato per la prima volta lampade a Led,
su un edificio di 160 metri che di giorno
è materia, mentre di notte rimane il telaio
luminoso della massa costruita.
Mi parli brevemente della sua passione per
le barche, che nasce dalla sua grande attrazione
per il mare come luogo di avventura e di mistero.
Argomento tutto da scoprire; in barca servono
luci di riferimento (non vado a sbattere il naso),
luci di atmosfera (guardo negli occhi una
signora), luci di gala (splendiamo anche noi,
invitati): ecco un vero servizio alla progettazione
di uno spazio molto particolare. Ho disegnato
barche da 14 a 120 metri, una palestra
di sperimentazione da applicare a tutti gli altri
ambiti progettuali, di cui, come il mare,
pensiamo di conoscere il mistero e invece
è tutto da esplorare
Se dovesse scegliere un solo edificio per
raccontare la sintesi nella capacità didattica
luce/architettura, cosa sceglierebbe, anche
nel lavoro dei suoi colleghi?
Esempi lontani. Di Herzog & de Meuron o Coop
Himmelblau mi piace tutto, ma il Duomo
di Milano spento o acceso, quelle vetrate così
profonde, è un bel racconto, non raggiungi mai
la fine di quell’abisso di bellezza; o il crocefisso
di Santa Maria delle Grazie, illuminato sempre
alla stessa ora, artificialmente, al tramonto, ecco
prima della luce non c’era e ora invece esiste.
Come capolavoro.