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¶INCONTRI
Nella luce
di Dante
(O. Benini)
“Qualsiasi atto
del pensiero che crea
un luogo architettonico
non può non interagire
con la luce, sia per
gli interni sia
per gli esterni”
di Maurizio De Caro
Photo © Toni Nicolini
N
on le chiedo cos’è la luce, perché forse
nessuno lo sa con precisione; le chiederò
invece cosa è per lei la luce, e cosa
rappresenta nel suo lavoro di architetto
La luce è materia che plasma la forma. In assenza
di luce nessuna dimensione può acquistare
volume, profondità, dinamicità; attraverso
la luce si produce la sensazione compiuta
dell’architettura, di cui è un elemento fisico
e spesso metafisico. Qualsiasi atto del pensiero
che crea un luogo architettonico non può non
interagire con la luce, sia per gli interni sia per
gli esterni. La forma di un oggetto di design
è resa tangibile dalla sua dialettica col progetto
illuminotecnico che lo determina. Non è dunque
un abbellimento romantico, ma un elemento
fondamentale della progettazione, fin
dall’ideazione preliminare. In quest’artificio
si nasconde lo stupore mai definito di uno
spazio. Un mio cliente mi aveva confessato,
tempo fa, che non era riuscito a scoprire fino
in fondo il mistero della sua grande casa, e
questo grazie al mutare e al dialogo tra la luce
artificiale e quella naturale.
Come cambia l’architettura rispetto alla luce,
naturale e artificiale?
Frank Lloyd Wright definiva il tracciato di una
casa “from in to out”, perché lo studio della luce
artificiale (parliamo di molti decenni fa)
determinava la profondità di campo; come
Scarpa per cui lo spazio non era altro che
l’illusione che se ne dà. Entrambi sono stati
maestri della manipolazione luminosa per
le esigenze più alte del progetto d’interni.
Un grande artificio, la scenografia
dell’architettura pura. La luce naturale, invece,
delimita i contorni, le masse e le componenti
anche attraverso la produzione delle ombre,
che non tutti colgono, poiché la percezione
è “contaminata”. L’osservatore indifferenziato
passa e attraversa l’architettura, ma questo non
influenza lo sforzo dell’architetto per creare la
giusta dialettica con la luce naturale, e, in effetti,
col giungere della notte torna lo stupore,
l’effetto speciale e la città diventa un’immensa
scenografia da ammirare.
Esiste secondo lei un rapporto tra la luce
naturale e quella artificiale in architettura:
la prima in relazione all’orientamento
dell’edificio, le aperture, mentre la seconda
diventa protagonista nello spazio costruito?
Scusa se parlo di un mio edificio, ma nel progetto
di via Valtellina a Milano ho disegnato due corpi
con uno “zaino” che assembla tutti gli impianti
dell’edificio, coperto da un gigantesco scudo
microforato – per altro una delle prime
applicazioni di questa tecnica. Di giorno l’edificio
era percepito poco, ma di notte per effetto dello
spettacolo luminoso le auto si fermavano
per ammirarlo. Non dimenticare che io disegno
principalmente di notte e dunque
inconsciamente creo un “effetto notte”,
indago sulle possibilità di percezione della mia
architettura nella miglior ora possibile, quando
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