LUCE estratti LUCE 319_Calatroni_Mario Cucinella | Page 5
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i vuole raccontare il suo personale
rapporto con la luce?
Ho sempre avuto un rapporto di empatia
molto forte con la luce. Ho cercato di
sviluppare una relazione sostanziale tra
lo spazio costruito e la luce, soprattutto quella
naturale. All’interno di un progetto la luce
non deve essere solo una componente
quantitativa ma soprattutto qualitativa:
sono convinto che l’effetto benefico
dell’illuminazione naturale sia uno dei principi
qualificanti dell’architettura. Se gli edifici
hanno un buon rapporto con la luce, la qualità
della vita all’interno di questi aumenta.
Il nostro lavoro è dedicato alla costante ricerca
di questo rapporto, soprattutto in edifici per
uffici o collettivi come scuole, asili e ospedali.
Il rapporto luce/spazio costruito deve essere
strettamente connesso al ritmo della giornata,
alla quantità di luce, alle conseguenze emotive
e psicologiche che ci legano a questo elemento
fondamentale. Un’architettura che nega questa
relazione non mi sembra sia interessante;
noi lavoriamo affinché la costruzione
non diventi una barriera, un filtro negativo,
ma puntiamo a un’architettura che amplifichi
la luce, che instauri un rapporto di grande
empatia tra uomo, spazio e illuminazione.
Credo che dovremmo avere
molti più lighting designer in
Italia, sono una specie quasi
protetta. Guardandomi in giro
ho notato che non c’è una bella
illuminazione urbana. Secondo
me ci si concentra troppo sulla
parte tecnica e poco su quella
creativa, invece bisognerebbe
interpretare meglio le città dal
punto di vista della luce.
I think we should have more
lighting designers in Italy: here
it is like they’re a protected
species. I noticed that the urban
lighting is generally quite poor
here, and I think we focus too
much on technical issues and
little on creativity, while
we should be more attentive
to the luminous interpretation
our cities.
MARIO CUCINELLA
Cinque progetti a Milano: HQ Unipol, HQ Coima,
Ospedale San Raffaele, Città della Salute e
Museo Fondazione Rovati. Cinque declinazioni
della stessa idea di architettura sostenibile?
Sì, sono cinque declinazioni della stessa idea
d’architettura e questo è dovuto anche al fatto
che affrontano temi diversi. C’è quello
dell’ufficio, che ha un rapporto molto stretto con
il ciclo della luce naturale che deve entrare
in relazione con l’illuminazione artificiale e che,
in qualche modo, nega il ciclo della luce solare.
La luce artificiale ha una temperatura
e un’intensità costante e deve colloquiare con
quella naturale. Si tratta di un dialogo tra un
aspetto tecnologico e uno totalmente naturale.
Per quanto riguarda gli ospedali, la luce è un
elemento che va filtrato e governato per
rispondere a particolari condizioni di vita. Il tema
della buona luce in ambito ospedaliero è una
delle componenti principali per il benessere
psicologico dei degenti. Anche nel museo la luce
è importante: qui è prevista poca luce perché
è legata a un’esperienza storico/artistica,
gli Etruschi, che vedeva nel buio l’accesso
a un altro mondo. Nella parte ipogea c’è una
luce unicamente artificiale e molto ridotta
per rispettare questa concezione e per accentuare
l’idea di un luogo misterioso. È importante
saper declinare in maniera corretta un elemento
delicato come la luce, che deve avere delle
intensità diverse in funzione di luoghi differenti.
Luce naturale e luce artificiale sono in dialogo
costante. One Airport Square ne è un esempio:
ombre e luci diverse definiscono l’edificio
e la sua percezione. Quale rapporto instaura
con i lighting designer?
Lavoriamo spesso con i lighting designer perché,
per trasformare la nostra idea di luce, abbiamo
bisogno di figure che professionalmente sono
cresciute in quest’ambito inoltre hanno una
maggiore sensibilità narrativa sul tipo
d’illuminazione da impiegare. Il loro apporto,
come per le altre figure esterne, è rilevante
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LUCE 319 / INCONTRI
per il risultato finale. Credo che dovremmo
avere molti più lighting designer in Italia, sono
una specie quasi protetta. Guardandomi in giro
ho notato che non c’è una bella illuminazione
urbana. Secondo me ci si concentra troppo sulla
parte tecnica e poco su quella creativa, invece
bisognerebbe interpretare meglio le città dal
punto di vista della luce. Entrando nello specifico
del progetto One Airport Square, qui c’era
la necessità di un attento controllo della luce
naturale, dato che in Ghana questa ha una
grande incidenza termica, e, in generale, sul
funzionamento della struttura. L’edificio gioca
con il sole zenitale e le grandi terrazze a sbalzo
che ombreggiano la costruzione. Davanti
a un problema l’architettura trova sempre
una soluzione. In questo caso abbiamo usato
una griglia obliqua, che dà una sensazione
d’instabilità e crea un interessante gioco
di luci sulla facciata. Il dialogo tra il giorno
e la notte reca due messaggi diversi, uno
dinamico e uno molto statico, entrambi
con differenti attitudini scenografiche.
Uno degli oggetti di design progettati
dallo Studio è la famiglia di proiettori Woody
per iGuzzini. Ce ne vuole parlare?
È un progetto nato da una precisa richiesta
aziendale: realizzare il primo proiettore con
soli due pezzi, una scocca e un tappo (la lente).
L’Azienda intendeva costruire un proiettore
con un pezzo in meno, che in termini di logica
produttiva significa un importante abbattimento
dei costi e dei tempi nel processo di costruzione.
Poi c’è “l’idea di famiglia”, di un proiettore che,
al variare delle dimensioni, copra tutta la gamma
di opportunità d’illuminazione. L’idea della
famiglia mi è sempre sembrata affascinante,
un po’come per la famiglia degli archi,
dal violino alla viola al basso. Sono oggetti che
hanno la stessa funzione ma che la declinano
in modi diversi. Questo progetto è stato molto
interessante, sia sul versante produttivo sia
su quello operativo e illuminotecnico. Prodotti
come questo hanno un grande contenuto
estetico, oltre che funzionale: questo è il valore
aggiunto che definisce molti prodotti italiani.
La luce nelle sue architetture va oltre alla
semplice illuminazione, ha funzione scultorea,
emotiva. La copertura per l’ARPAE, la cosiddetta
quinta facciata, è paradigmatica. Come nasce?
Il progetto è per l’ARPAE di Ferrara. Ci è sembrato
necessario che l’edificio stesso raccontasse
il rapporto tra i diversi elementi ambientali
e che rappresentasse un’idea nuova di edificio
pubblico. Costruire edifici pubblici in legno
e con questa attenzione in Italia è molto raro,
e poiché questi sono una prima forma
di educazione e di comunicazione ci è sembrato
corretto raccontarlo con la materia. L’ARPAE
è un edificio totalmente costruito in legno,
tagliato da foreste controllate, attento al tema
delle materie prime rinnovabili e certificate.
Questo edificio ha un particolare rapporto con
la luce, perché l’illuminazione artificiale viene
accesa solo nel tardo pomeriggio, anche in
inverno. L’idea forte è che, dentro l’edificio, la
luce venga amplificata grazie ai condotti di luce
o camini sulla copertura, i quali moltiplicano
la quantità di luce interna, soprattutto
quella zenitale, molto più efficace di quella
orizzontale. I camini, oltre a portare luce