¶ EPIFANIE DI LUCE
Il deserto di luce
in Emily Dickinson
di Empio Malara
E
ugenio Montale considerava il caso di
Emily Dickinson (1830-1886) un "caso
estremo di una vita scritta e non vissuta",
perché la poetessa visse dal 1866 in reclusione
volontaria nella grande casa del padre ad
Amherst (Massachusetts), dove affondava la sua
solitudine e scriveva poesie ficcando gli occhi
dove c’era da restare accecati, dalla luce che
le mostrava il suo deserto: “Se non avessi visto
il sole / avrei potuto accettar l’ombra. / Ma la
luce rendeva più deserto / il mio deserto”.
Emily Dickinson avrebbe potuto condividere
l’affermazione di Ariel nel Faust di Goethe:
"Quale tumulto porta la luce!". Anche perché,
al contrario della classica dialettica luce-
tenebre, lei ribalta il paradigma morale ove
la luce del Verbo divino "splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta" (Giovanni 1,5)
e si domanda: “A cosa serve il giorno / per chi
nella sua tenebra/ ha un sole così eccelso/che
mai sembra scostarsi / dal meridiano?”.
La Dickinson non anela alla luce, alla
rivelazione e all’incontro con Dio, preferisce
il buio: “Ci abituiamo al buio / quando la luce
è spenta; / […] per un momento ci moviamo
incerti / perché la notte ci rimane nuova, /
ma poi la vista si adatta alla tenebra /
e affrontiamo la strada a testa alta".
La sua voce si manifesta in dissonanza con
le concezioni religiose: “In casa sono tutti
religiosi – fuorché me”, confessa in una lettera
inviata a T.W. Higginson. E la sua voce è in
dissonanza anche con la poesia romantica
dell’epoca. Voce al di là delle convenzioni,
"dove solo chi è sconfitto – notava Barbara
Lanati, sua traduttrice – accede alla
conoscenza": “Anche il più coraggioso prima
brancola / un po’, talvolta urta contro
un albero, / ci batte proprio la fronte; / ma,
imparando a vedere, / o si altera la tenebra /
o in qualche modo si abitua la vista / alla notte
Emily Dickinson in un dagherrotipo
del 1847 / Daguerrotype of Emily
Dickinson, c. early 1847
Amherst College Archives & Special
Collections
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LUCE 331 / EPIFANIE DI LUCE
profonda, / e la vita cammina quasi dritta”.
Nella vicenda storica originale di Emily
Dickinson, il ritmo quotidiano tra luce
e oscurità permane, ma è la notte la preferita,
e proprio le notti seducono la sensuale autrice.
Notti urlate in versi stupendi espressione del
suo dolore, di vergine bianco vestita, rovesciato
in rabbia: “Notti Selvagge – Notti Selvagge! /
Fossi io con te / Notti Selvagge sarebbero / La
nostra voluttà! / Inutili – i Venti – / A un Cuore
in porto –/ Via il Compasso – / Via la Mappa! /
Vogare nell’Eden – / Ah, il mare! / Potessi
soltanto ormeggiare – Stanotte – / In Te!”.
Delle 1775 poesie riposte da Emily Dickinson nel
suo scrittoio nel corso degli anni, pubblicate
solo dopo la sua morte, sono molte quelle
modernissime che suscitano nel lettore stupore
e inquietudine, perché portano alla luce
i segreti della sua misteriosa vita, vissuta
in silenzio e in ombra.
12 – continua. Per “Epifanie di
Luce” sono usciti finora su
LUCE i racconti di Empio
Malara: “Alessandro Manzoni,
artefice della luce” (n.317,
settembre 2016); “Herman
Melville. La luce invita al
viaggio” (n.321, settembre
2017); “La luce e il buio nel
ritratto di James Joyce da
giovane” (n.322, dicembre
2017); “Lampi e luci in Addio
alle armi di Hemingway”
(n.323, marzo 2018); “Il sole
artificiale nel romanzo La
Montagna Incantata di
Thomas Mann” (n.324,
giugno 2018); “La luce
irriverente e irrazionale in
alcuni testi di Carlo Emilio
Gadda” (n. 325, settembre
2018); “Le luci rivelatrici di
Philip Roth in Pastorale
Americana” (n.326, dicembre
2018); “Le finestre illuminate
di Marcel Proust nel romanzo
Un amore di Swann” (n.327,
marzo 2019); "Leonardo da
Vinci in Luce" (n.328, giugno
2019); "Il sottosuolo buio di
Fëdor Dostoevskij illuminato
da Alberto Moravia" (n.329,
settembre 2019); "Le voci –
e le luci – della sera di Natalia
Ginzburg" (n.330, dicembre
2019)