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ormazione e progettazione
illuminotecnica, la parola ai lighting
designer. Dopo aver raccolto nei mesi
scorsi i pareri di diversi esperti, LUCE riprende
il suo tour sulla formazione, questa volta
ascoltando alcuni progettisti. Cinque lighting
designer, con un ricco curriculum alle spalle,
i cui pareri compongono un quadro variegato
di opinioni. Un quadro in cui, accanto ad
alcune sottolineature negative riguardo i limiti
del sistema formativo nazionale, emergono
altri temi, come ad esempio la necessità di un
nuovo rapporto tra due mondi fondamentali
del sistema: quelli della progettazione e della
produzione. Con alcune proposte concrete per
creare un sistema di relazioni più rispettoso
dell’autonomia professionale dei progettisti,
delle esigenze di qualità del prodotto finale
e di quello straordinario rapporto che esiste tra
architettura e luce.
“È vero, in Italia, sul fronte della formazione
si registra ancora un ritardo – afferma Anna
Busolini. Basta riflettere sulla quantità di ore
dedicate all’insegnamento della progettazione
illuminotecnica all’interno dei nostri atenei.
Molto, se non tutto, dipende dalla sensibilità
e dalla passione dei singoli docenti. La vera
formazione avviene dopo la laurea, attraverso
master e corsi di specializzazione. Sempre però
su base volontaria. Credo di non sbagliare se
dico che il tema non è trattato adeguatamente
là dove si formano i giovani progettisti.
E questo rappresenta un problema concreto nel
momento in cui, nella professione, ci si misura
con la realtà del progetto e del cantiere. Certo,
esistono le eccezioni, ma sono pur sempre tali.
La formazione in campo illuminotecnico,
insomma, è considerata poco importante.
Piuttosto, registro un’attenzione e una ricerca
formale sui singoli apparecchi, ma una scarsa
attenzione alla qualità e alle prestazioni della
luce realizzata. Un dato di fatto che dipende
dalla scarsa importanza che si dà alla qualità
della luce, dalla pretesa dei progettisti di
volersi occupare di tutto, anche di ciò che non
conoscono, come nel caso della progettazione
illuminotecnica. Dall’eccessiva attenzione alla
qualità estetica del prodotto e, all’opposto,
dalla scarsa considerazione della qualità
del risultato. Infine, dalla presenza di
distorsioni del mercato. Mi spiego, spesso il
ruolo delle aziende produttrici va oltre il loro
compito: ci sono casi, non pochi, in cui sono
le stesse aziende fornitrici che si propongono
come progettisti della luce. E questa
è un’aberrazione. Il rapporto tra aziende
e professionisti è benvenuto, ma occorre
porre dei limiti”.
C’è però chi esprime un punto di vista originale
sullo specifico tema della scarsa formazione.
“Non concordo sulla mancanza di formazione
dei lighting designer in Italia – sostiene
Cinzia Ferrara. Non si tratta a mio avviso di
un problema formativo. Qui da noi, negli anni,
si sono fatti numerosi passi in avanti. Il
problema è invece di come si è sviluppato il
mercato italiano e dei ruoli che al suo interno
si sono storicamente determinati. A differenza
di altri settori, ad esempio, in materia di
progettazione della luce non esiste un rapporto
fiduciario tra committente e professionista. Noi
siamo i campioni delle soluzioni alternative,
quelle cosiddette all’italiana. Viviamo una
stortura dal punto di vista del mercato.
ca
cat
ato. E ciò
avviene in barba anche a indicazioni n
normative
orma
or
mat
at
chiare. Parlo delle norme UNI, che offrono
n o
no
precise indicazioni circa la necessità di avere
progettisti specializzati nel campo
illuminotecnico, come avviene ad esempio nel
campo impiantistico. Non è un obbligo, certo,
ma è sicuramente un riferimento che andrebbe
seguito. Ciò che accade in Italia, per cui anche
un tecnico non qualificato può progettare
la luce, non succede da altre parti. La nostra
è una situazione in cui, alla fine, nessuno
si avvantaggia, in quanto, facendo così, non
si ottiene alcun avanzamento culturale. Per
migliorare servirebbero dei master ancora più
qualificati, di secondo livello, e poi, cercando
di essere ottimisti e positivi, servirebbe un
gentlemen’s agreement tra tutti gli operatori”.
C’è anche chi preferisce collocare il tema
formativo all’interno di un contesto temporale
e culturale differente.
“Siamo in ritardo? Probabilmente no – afferma
Filippo Cannata –, se consideriamo che in
Italia si parla di light design solo da una
ventina d’anni al massimo. All’epoca, quando
ero giovane e muovevo i primi passi in questo
settore, una trentina di anni fa, era solo Piero
Castiglioni che parlava di illuminotecnica.
Negli Stati Uniti, dove mi sono formato, esiste
invece una tradizione diversa: lì già negli anni
Trenta e Quaranta si parlava di lighting design.
In Italia, insomma, siamo alle prese con una
professione tutto sommato nuova. Per cui, se
paragoniamo il nostro cammino con quello
di altri settori professionali, ritengo che in
Italia si stia compiendo il giusto percorso. Anzi,
direi che siamo forse avvantaggiati dal fatto
che abbiamo avuto dei maestri che hanno
saputo, prima di altri, con i loro segni e con
le loro geniali intuizioni, anticipare questa
esigenza culturale, penso a Castiglioni e a
3 - continua. Per lo “Speciale Formazione” sono
usciti finora su LUCE, a cura di Pietro Mezzi: “Il ritardo
da colmare nella formazione. Le iniziative di Aidi
e Assil per sviluppare una progettazione
illuminotecnica di qualità. I pareri di Andrea Solzi,
Massimiliano Guzzini, Gian Paolo Roscio, Alfonso
Femia, Alessandra Reggiani” (n. 326, dicembre 2018);
“La formazione negli atenei italiani. Il parere
di otto docenti: Luigi Marletta, Francesco Leccese,
Cinzia Buratti, Carla Balocco, Maurizio Rossi,
Anna Pellegrino, Marco Frascarolo, Laura Bellia”
(n. 327, marzo 2019)
Magistretti.
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i. P
e cui direi che non siamo
in r ritardo,
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ardo
do ma stiamo procedendo bene.
Il ritardo
do è invece più generale, direi
fisiologico, non dovuto alla materia di cui
parliamo, ma riguarda il mercato italiano.
Un mercato, quello della progettazione
illuminotecnica, nonostante il grande numero
di architetti esistente, tutto sommato limitato
a qualche centinaio di professionisti. Per cui,
l’accelerazione culturale è giusto che avvenga,
ma attenzione alla densità del fenomeno,
è opportuno che abbia il passo adatto. Siamo
nella società dei millennial e della rivoluzione
digitale: in questo contesto registriamo, al
contrario, il ritardo delle istituzioni e di quelle
universitarie in particolare, a differenza
di quanto avviene all’estero. Basterebbe che
in Italia fossimo al passo con i tempi. Forse
l’unico luogo in Italia di livello internazionale,
in cui si è al passo con i tempi, è Milano, al
Politecnico, con Maurizio Rossi. Detto questo,
e rimanendo sul diffuso della progettazione,
bisogna anche purtroppo riconoscere che, in
assenza di più luoghi qualificati dove formare
le nuove leve, oggi questo percorso è perlopiù
svolto dalle aziende produttrici. Questa è la
vera distorsione del sistema in cui operiamo.
L’architettura è luce. Lo insegnavano Louis
Kahn, Tadao Ando e oggi Jean Nouvel, che ci
hanno insegnato che la luce è una componente
fondamentale dell’architettura. Se le aziende
del settore capissero fino in fondo quanto
è fondamentale la luce nel progetto di
architettura, sicuramente si registrerebbe
un successo anche in termini di mercato.
Purtroppo, la cultura della luce non è divulgata
a sufficienza, proprio in una fase di forte
cambiamento come quella attuale dove dalla
luce tradizionale siamo passati al Led e all’IoT.
Abbiamo grandi architetti nel campo della
progettazione, ma siamo meno bravi, direi
scarsi, nella fase realizzativa vera e propria. E
allora, la strada del miglioramento passa anche
attraverso il lavoro dei team di progettazione,
dove attorno a un tavolo da lavoro si ritrovano
le migliori competenze e tra queste anche il
lighting designer. Da ultimo, mi piace ricordare
che, per progetti importanti, sono le stesse
aziende, quelle più evolute, che ci chiedono
di intervenire nel processo progettuale
illuminotecnico. Ma casi così sono ancora
pochi, quasi delle eccezioni. Discorso differente
quando si lavora con importanti architetti,
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