Il sanatorio
Berghof di
Davos nel 1915 /
The Swiss
sanatorium
Berghof
in Davos, 1915
¶ EPIFANIE DI LUCE
Il sole artificiale nel romanzo
La Montagna Incantata
di Empio Malara
T
homas Mann (1875 Lubecca-1955 Zurigo),
premio Nobel per la letteratura nel 1933,
ha composto un grande affresco della
società civile occidentale dei primi decenni
del Novecento nel romanzo La Montagna
Incantata, scritto tra il 1913 e il 1924.
Ambientato in un sanatorio svizzero, il celebre
Berghof di Davos, il romanzo ha come
protagonista un ingenuo e giovane ingegnere
volontario, Hans Castorp. Mann lo descrive da
umorista inglese: “col senso di responsabilità
dell’uomo che si fa la barba alla luce diurna
della ragionevolezza”.
Hans va a trovare suo cugino Joachim Ziemssen,
paziente in cura al Berghof, ignaro della stessa
malattia che lo costringerà a dover restare
a lungo nel sanatorio svizzero, in quella
“provincia pedagogica” nella quale Hans
Castorp troverà il suo equilibrio.
Joachim accoglie Hans nel ristorante,
“luminoso, elegante e familiare”, e i due cugini
si siedono – nota l’autore – “occupando la
tavola rialzata vicino alla finestra, il posto più
bello”. E per completare l’ambientazione Mann
descrive le guance dei due cugini, arrossate
dalla luce artificiale: “Contro la tendina color
crema il viso acceso dalla lampadina elettrica
che sulla tavola era velata di rosso”.
Abbellivano la sala da pranzo “alcuni lampadari
di ottone lustro, ciascuno formato da tre cerchi
sovrapposti e collegati con graziosi graticci, dal
cerchio inferiore pendeva un giro di campane
di vetro smerigliato, somiglianti a piccole lune”.
Durante la prima colazione Hans udiva
esprimere dai pazienti un malcontento
unanime per le condizioni del tempo:
“Tutti erano del parere che esso adempiva
in grado molto insufficiente i suoi obblighi
d’inverno d’alta montagna. Che non offriva
affatto i rimedi metereologici, ai quali la zona
doveva la sua fama”. Monti e valli d’intorno
erano coperti di molta neve e raramente
il sole era apparso in quell’inverno. Osservava
lo scrittore, “enormi ammanchi di sole,
di radiazioni solari, farmaco importante
senza il cui contributo la guarigione veniva
indubbiamente procrastinata”.
La direzione “comprendeva il proprio dovere
di porre ripiego e di risarcire il danno. Acquistò
– notava non senza ironia Mann – una nuova
lampada di quarzo perché le due già esistenti
non bastavano a soddisfare le richieste
di coloro che desideravano farsi abbronzare
con l’energia elettrica, la qual cosa donava
alle ragazze e alle signore, e conferiva agli
uomini, ad onta del tenore di vita orizzontale,
un magnifico aspetto sportivo e conquistatore”.
Tuttavia, concludeva Mann, “si era ben lontani
però dall’accettare il sole artificiale come vera
compensazione della mancanza di genuina
luce celeste” e “malumori e proteste
dilagavano, le minacce di partenze arbitrarie
erano frequenti e di moda”.
Invece del sole però c’era tanta neve; neve
in quantità così rilevante che Mann fa dire
a Castorp che “in una tale abbondanza
non l’aveva mai vista”.
E nel raccontare le vicende di Hans, l’autore
descrive magistralmente l’impatto della neve
sul suo viso mentre sciava: “I fiocchi gli
volavano in faccia e si scioglievano facendola
irrigidire. Gli volavano in bocca dove
si squagliavano con un leggero sapore
di acqua, volavano contro le palpebre che
si chiudevano convulse, allagavano gli occhi
e impedivano di guardare… che poi sarebbe
stato inutile, perché il denso velame steso
sul campo visivo e il bianco abbacinante
intercettavano quasi interamente la facoltà
della vista”.
Castorp dubitava di rivedere la luce. Il conflitto
tra la luce e il buio, tra la vita e la morte,
si manifestò dentro di lui. La conclusione
della prova sciistica era incerta, fortunatamente
la luce prevalse e la bufera di neve cessò.
Il giovane ingegnere restò volontariamente
in sanatorio come “un viaggiatore in cerca
di cultura” e continuò a far domande come
passaggio obbligato al sapere, senza alcuna
pretesa di risolvere il conflitto tra la luce
e il buio. E quando Mann rivelerà poeticamente
l’avvenuto cambio di stagione, “un arcobaleno
s’incurvò da una parte sopra il paesaggio, con
tutti i suoi colori vivaci, umidi, lucenti che densi
come olio fluivano sul verde intenso e luminoso
dei prati primaverili”, Castorp, annoiato
dall’uniformità della luce, dall’uniformità della
vita, esclamerà: “Che beneficio per gli occhi,
il verde dei prati dopo l’interminabile bianco!”.
5 – continua. Per “Epifanie di Luce” sono usciti
finora su LUCE i racconti di Empio Malara:
“Alessandro Manzoni, artefice della luce” (n.317,
settembre 2016); “Herman Melville. La luce invita
al viaggio” (n.321, settembre 2017); “La luce
e il buio nel ritratto di James Joyce da giovane”
(n.322, dicembre 2017); “Lampi e luci in Addio
alle armi di Hemingway” (n.323, marzo 2018).
EPIPHANIES OF LIGHT / LUCE 324
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