Conservatorium Hotel, Amsterdam, 2012 p Lobby, The Oberoi Al Zorah Beach Resort, Ajman, 2017 / The Middle House, Shanghai
Contemporaneamente, quando ho la luce,
in qualche modo la devo controllare, capirla
secondo l’ambiente o il luogo in cui sono
portato a lavorare. Ogni volta la luce è una
matrice quasi più difficile da trattare di quello
che noi chiamiamo il contesto. È un punto
di partenza molto preciso; ogni paese ha la sua,
ed è doveroso tenerne da conto. A Gerusalemme
la luce è tagliente, totalmente differente
da quella, per esempio, di Amsterdam. il modello della luce naturale, cioè quella
sbagliata, con i suoi ritmi o i suoi difetti!
Se la luce è una matrice importante tanto
quanto il contesto, sarei curiosa di sapere come
lei l’approccia. Come la tratta nei suoi progetti?
Immagini di scavare il buio. La luce è un buco
nel buio. Immaginatela come una
composizione. Idealmente la si può paragonare
alla musica. Se si pensa a un compositore,
la sua bravura non sta solo nella consecutio
delle note, ma anche nella capacità di generare
spazio e pause tra loro. Spazi vuoti, silenzi:
la luce è questa cosa qui. La luce è questa pausa
tra una nota e un’altra, tra un buio e un altro.
Per lei, quindi, è indifferente giocare con la luce
naturale o quella artificiale?
La luce naturale si muove con dei ritmi,
dei modi e degli errori. In alcuni momenti
ti può inviare delle lame taglientissime,
e cinque centimetri dopo c’è l’ombra più
potente, i contrasti possono essere molto forti.
La luce naturale è piena di difetti.
Viene continuamente modificata da quello
che è l’ambiente e il contesto. Noi esseri umani
siamo abituati a vivere con questo tipo
di intermittenza luminosa, e quando disegno
delle lampade cerco di riprodurre esattamente
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LUCE 323 / INCONTRI
Cosa pensa dell’imperfezione?
Fondamentale. Senza non ci sarebbe nulla.
Noi ragioniamo in termini troppo costretti
e legati alla visione della perfezione. I robot
montano oggetti perfetti, lavoriamo tentando
di avvicinarci alla perfezione. Ma è di una noia
mortale. La bellezza è controllare l’imperfezione,
così da non oltrepassare il limite oltre il quale
diviene volgare. Controllarla significa saper
moderare questa specie di linguaggio, che
diviene poi eleganza, di cui tutto fa parte,
dai gesti al nostro modo di vestirci.
“Nessuna tecnologia può essere realmente
efficace, per quanto ben costruita, se a monte
manca l’elemento umano, la volontà
e la determinazione per farla funzionare”
(Cordell Hull).
Che cosa pensa dell’illuminazione urbana,
la interessa?
Certo che mi interessa. Dai suoi lati più
funzionali, come quello dell’illuminazione
stradale, a ovviamente quella monumentale
o di aree pedonali. C’è da dire che, nonostante
noi siamo una delle nazioni con la tecnologia
più evoluta, siamo anche uno dei modelli più
involuti sul suo utilizzo. Ci vogliono più strumenti
culturali per riuscire a illuminare quelle che sono
le aree pubbliche. I parchi urbani in Giappone,
in Cina o in alcuni paesi nordici sono esempi
da cui trarre spunto e forza di iniziativa.
Quindi, accetterebbe una proposta?
Certo, sugli spazi pubblici c’è un mondo di cose
da fare, e le città hanno bisogno di emozioni.
E se arrivasse un incarico di certo non mi tirerei
indietro!
Qual è il momento della giornata che preferisce?
Non esiste una sola luce, ce ne sono milioni!
Per parlare di emozioni si ha bisogno del buio,
soprattutto quando devi lavorare con le luci
artificiali. E hai bisogno del buio per donare
una certa sensualità. Ma forse il momento
che preferisco è quello dell’alba, perché è in
divenire, e la luce si apre indefinita e irreale.
È questione di attimi, cambia velocemente,
e in pochissimi minuti diviene il giorno.
Dall’illusione di un mondo perfetto, quanto
l’evoluzione delle macchine ha influito sul
suo lavoro? Penso alle nuove tecnologie,
all’intelligenza artificiale, alle stampanti 3D…
L’utilizzo è fondamentale, ma negli ultimi tempi
se ne è persa una visione lucida. Tutti questi
modelli o serie di oggetti che fanno cose, o ne
pensano alcune per noi, sono in realtà degli
strumenti, e non dei fini. Il vero errore è
produrre contando su di un pensiero virtuale.
Penso che un algoritmo resti un algoritmo, e che
dietro a esso ci voglia una mente che lo veicola.
Mi piace l’ibridazione, gli errori e le miscele
che non sono troppo controllabili. Penso che
si generi un genuino senso di alchimia, dove
molte cose accadono per caso.
Piero Lissoni ha progettato prodotti per molte
aziende prestigiose. Come spiega, non è
l’oggetto ultimo in cui si trova il suo interesse,
ma l’indagine di “forme, dimensioni,
proporzioni, materiali e nuove tecnologie”.