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la responsabilità di proporre una rilettura critica. Responsabilità che chiede probabilmente, da un lato, pensiero filosofico e, dall’ altro, molta professionalità. Di giorno le nostre architetture vivono di una luce oggettiva simile a quella per cui erano state pensate; di notte, ora, cambia tutto. Alla variabilità del giorno, dall’ alba al tramonto, la luce artificiale notturna si propone con la sua oggettiva staticità, come in una bacheca museale. Come si fa a non cadere nel personalismo dei progettisti o, a volte, nella limitatezza della tecnologia, a sua volta spesso determinata dall’ impegno economico o dalle influenze di un contesto sovente problematico. Quindi, dobbiamo passare dalla obiettività della luce naturale alla luce artificiale, che dovrà di per sé essere una“ luce critica”, soprattutto in un momento in cui il nostro paese non è poi così disponibile verso l’ immensità del patrimonio culturale che definisce uno dei pochi primati dell’ Italia.
Di questa luce architetturale, nella sua esperienza alla Soprintendenza di Milano, ci ricorda qualche esempio? Anni fa ebbi l’ occasione di esaminare, nel corso di tantissime prove, l’ illuminazione esterna del Duomo di Milano. In una delle ultimissime prove notturne rimasi colpito da una situazione che si verificò per motivi tecnici del tutto occasionali. Interrotto il collegamento alla rete elettrica per alcuni minuti, si spensero tutti i fari della piazza, con eccezione delle luci dei lampioni storici. Il Duomo andò in penombra, una penombra“ storica”. Inoltre, in quel momento, cosa che prima non si era potuto notare, all’ interno del Duomo si stava svolgendo una qualche funzione ed era illuminato, cosicché in contrasto con la parziale oscurità esterna risaltavano i colori delle famose vetrate su un Duomo che, leggermente illuminato alla base, sfumava verso le guglie senza però mai scomparire nella notte.
Quale fu il suo pensiero in quel momento? Pensai che quella era una luce antica, quasi originale, e che quella suggestione, difficilmente ripetibile, scivolava proprio verso il romanticismo gotico, ovvero un’ atmosfera particolarmente confacente. Non potevo tuttavia non chiedermi se quella fosse la luce“ giusta” con cui vedere il monumento più gotico d’ Italia. Inoltre, proprio in quei momenti dovetti comunque prendere atto di come tutta la piazza fosse pervasa da un caos di luci secondarie, messe in evidenza dalla penombra, con le quali i negozi, anche chiusi, segnalavano la loro presenza esibendosi in una gara di sopraffazione individualista e non coordinata. Questa gara di lumen e di cromatismi più vari dovrebbe diventare una delle priorità da risolvere. Di fatto, il Duomo non può essere disgiunto dalla piazza, con la quale dovrà avere un“ confronto” dialettico. Almeno in teoria.
Un altro esempio, di illuminazione interna? In un’ altra occasione ebbi modo di confrontarmi con un tema apparentemente del tutto diverso, trattandosi di un interno, in cui scoprii tuttavia delle possibili analogie sotto il profilo dell’ illuminazione architettonica. L’ oggetto era l’ interno della Cappella Portinari, ricco di affreschi e particolari che decorano uno dei primissimi esempi del Rinascimento a Milano.
Che cosa accadde o osservò tra i capolavori di Vincenzo Foppa? Quando ci trovammo con i progettisti era già notte, e l’ ambiente buio venne illuminato da una struttura mobile portante alcuni faretti campione, appoggiata casualmente a terra in un angolo alla sinistra dell’ Arca. Una luce pertanto decentrata e non prodotta da alcuno studio. Tale collocamento mise in evidenza un percorso particolare, certo discutibile: una luce decentrata avrebbe permesso una lettura architettonica nuova, tutta giocata sullo studio delle ombre, usate come supporto critico e come strumento scenografico. Sicuramente il gioco delle ombre andava a tutto vantaggio della lettura dei volumi rinascimentali, ravvicinando moltissimo l’ architettura della Cappella Portinari ai volumi della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo. Ma la Sacrestia Vecchia non è così ricca di affreschi e non ha all’ imposta della cupola quel turbinio plastico decorativo rappresentato dal Fregio Angelico. Quindi, si evidenziava che una luce di supporto all’ architettura può comunque apparire non adeguata là dove l’ architettura fa da supporto a un apparato decorativo che deve avere delle caratteristiche di illuminazione particolari. Qui, all’ obiettività della luce e all’ attenzione nell’ evitare le zone d’ ombra, si accompagnano problemi tecnici come la dimensione degli apparecchi illuminanti, i punti di appoggio degli stessi, oltre alle più puntuali valutazioni di influenza cromatica e di possibili interferenze con eventuali aspetti conservativi.
E riguardo a effetti illuminanti, se così si può dire, come quelli dei prospetti sulle architetture che si affacciano su lunghi tratti di strade dei centri storici? Anni fa partecipai all’ esame della possibilità di illuminare un lungo tratto di Corso Magenta, nel centro storico di Milano, ponendo dei faretti incassati nel marciapiede dotati di alette anti accecamento. L’ operazione appariva interessante anche perché l’ illuminazione, partendo dal basso, avrebbe creato un accettabile senso di sfumato verso le zone più alte; inoltre, cosa di non poco conto sotto il profilo amministrativo, si sarebbe toccata una sola proprietà, in alternativa all’ appoggiarsi ai pali in gestione a enti diversi o all’ andare sui tetti di proprietà private. Tuttavia, poiché tutte le facciate godevano di una parziale illuminazione riflessa dalla luce funzionale, l’ estensione di tale impianto, che poneva in opera una teoria di decine di faretti, avrebbe poi determinato un effetto“ aeroporto” forse poco compatibile con l’ assetto storico della strada.
Architetto Corrieri, a conclusione del nostro piacevole incontro, posso chiederle se nella sua“ cassetta degli attrezzi” d’ esperienza e di studio ha un suggerimento, una proposta, da rivolgere a lighting designer, storici dell’ arte, amministrazioni comunali e soprintendenze? Stiamo parlando di come l’ illuminazione dei monumenti possa correre il“ rischio” di aprire le porte a una sorta di rilettura critica dei monumenti stessi, con il rischio di negarne la stessa storicità; con ciò non bisogna escludere la possibile validità di una rilettura critica, quando questa è frutto di un’ approfondita ricerca che tenga conto anche della relativa contestualizzazione. La luce è un fatto artificiale che può diventare artificioso, ovvero capace, attraverso suggestioni diverse, di censurare la corretta lettura del monumento, delegando così la percezione alla suggestione, ovvero condizionandone la lettura obbiettiva. L’ eventuale interesse scenografico che si può raggiungere, seppur interessante, dovrebbe essere delegato a episodi occasionali da“ spettacolo”, delegando poi all’ illuminazione permanente la ricerca di un senso più criticamente obbiettivo. Ritengo che per portare avanti questo problema occorra un serio ed allargato dibattito sia tecnologico che amministrativo, ma anche, e soprattutto, critico-estetico. Credo pertanto che in presenza di tante esperienze, che confido proseguano, e senza negare il valore della sperimentazione, sarebbe importante iniziare un percorso di raccolta dati attraverso la creazione di un Osservatorio al fine di una catalogazione di situazioni che evidenzino il rapporto tra tipologia di luce, capacità di riflessione dei materiali e contestualizzazione degli oggetti, proponendo una linea culturale che dipenda da normative e non solo da capacità professionali o problematiche amministrative. Si necessita quindi, a mio parere, di un dibattito che evidenzi scientificamente errori e pregi di ciò che finora è stato fatto, che preveda una presenza interdisciplinare – dallo storico architettonico all’ amministrativo / istituzionale, dallo scenografo al lighting designer – e che si concluda, per approssimazioni successive, con regole che impegnino la creatività a cercare sempre nuove soluzioni tecnologiche su regole precise. Se non siamo in grado di fare un lavoro adeguato, è meglio non farlo.
INTERVIEWS / LUCE 322 23