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Il brano riportato è un esempio dell’assoluta linearità descrittiva di Joyce. Una linearità che si manifesta disarmante nella descrizione della funzione elementare della lampada, la prima in letteratura: “Una lampada con il coperchio pendeva dalla parete…. e alla sua luce la zia leggeva il giornale della sera, tenendolo sulle ginocchia”. Ma è la finestra, la trasparenza significativa scelta da Joyce per dare forza evocativa allo sguardo, sia per quello che dalla finestra si vede – “... guardò fuori sulla via che si oscurava. Passavano figure in un senso e nell’altro, sotto quella luce cupa. Ed era quella la vita” –, sia per quello che la finestra illumina – “Il direttore stava nel vano della finestra con la schiena alla luce…. la faccia di questi era in ombra profonda, ma la luce declinante alle spalle gli toccava le tempie profondamente solcate e le curve del cranio”. Joyce dimostra in queste due frasi la sua capacità di dipingere con parole semplici la vita di una città e il volto scarno di una persona. Più che dalla luce il fanciullo James però è attratto dal buio. È nel buio “silenzioso e freddo” che James si perde; “non c’era che buio” da guardare. Ed è ancora il buio che permette a Joyce di rivelarci una sigaretta accesa, identificata in “una macchiolina di luce rossa” vista da lontano in bocca a uno degli studenti del collegio che fumava di nascosto. Ed è ancora il buio che concede di segnalare, con una tecnica espositiva efficace, l’accensione repentina nella sala di lettura della luce elettrica, la grande innovazione del Novecento: “Un rapido sibilo improvviso venne dalle finestre sopra Stephen che s’accorse che nella sala di lettura erano state accese le lampade elettriche”. Ed è infine ancora l’oscurità incipiente durante il viaggio in treno, sostitutivo di quello in carrozza con le lanterne, che sollecita la fantasia e l’intuizione di Joyce di scrivere un brano di ampiezza espressiva, che pur rimanendo nella rievocazione, si spinge oltre l’abbandono della lentezza e, con precisione scadenzata, annuncia l’imminente guerra di trincea: “Vedeva le terre che s’oscuravano scivolare lontano, i silenziosi pali telegrafici passargli fulminei ogni quattro secondi davanti al finestrino, le stazioncine dalle luci fioche… risplendere, gettate via dal treno, un attimo nel buio, come grani accesi lanciati da chi corre”. Che Joyce sia riuscito, in questo, in numerosi altri, e nei precedenti brani estratti dal suo racconto, a dare alla luce e al buio concretezza storica, a illuminare con fantasia e obiettività l’ambiente giovanile dublinese, ad affermare, partendo dal buio, il suo imperio verbale sulla luce, è già un grande merito. L’aver poi dato sostanza lirica e musicale alla luce e al buio, usando e riusando nel testo le stesse parole fino ad approssimarsi alle parole in libertà proprie dell’Ulisse, consente di annoverare James Joyce, anche per il tema della luce e del buio, tra i principali innovatori del Novecento. 3 - continua. Per “Epifanie di Luce” sono usciti finora su LUCE i racconti di Empio Malara: “Alessandro Manzoni, artefice della luce” (n.317, settembre 2016); “Herman Melville. La luce invita al viaggio” (n.321, settembre 2017) 20 LUCE 322 / EPIFANIE DI LUCE Light and dark in the portrait of James Joyce as a young man J ust before World War I, when James Joyce (1882-1941) was teaching English in Trieste, he completed the book of his childhood memories. Published in 1916, A Portrait of the Artist as a Young Man is the third book after Chamber Music and Dubliners in which Joyce scrupulously described life in Dublin and Clongowes, the town and college where he lived and studied up to the age of twenty, during the period of transition from oil lamps to electric lamps. Among the few main themes that are dealt with in the text, Joyce privileges light and darkness, a theme that permeates the story giving it a colour, a shade that lights up the grim horizon of the first half of the 20th century. The matrix of the detailed survey on light carried out by Joyce in A Portrait of the Artist as a Young Man, is darkness. Joyce states, “Yes, and it was not darkness that fell from the air. It was brightness.” And he adds, with reference to a verse by the poet Nash (1567-1601), “Brightness falls from the air.” Light that falls very much like the light at the video-art show presented this year at Teatro La Fenice in Venice by Fabrizio Plessi where suddenly, after the dark, a white light falls onto the memorial plaster moulds which are set up in the stalls, while the spectators, all tightly packed in the boxes above, stare in awe at the beauty of the light. Joyce does not want to surprise the reader, his task is to reconstruct faithfully, and in a detached manner, which is