LIBERAMENTELIBRANDO Pi' rrite, pi' pplagne | Page 9

Gabriele Falco Pi’ rrite, pi’ pplagne Edizioni Cinque Terre essi che abbiamo verseggiato solo per la gente comune e per nessun altro. Chiarito ciò, cerchiamo di toccare il più rapidamente possibile la questione concernente la parlata adottata. Premesso che non esiste un dialetto regionale omogeneo e identico nella forma, poiché esso presenta variazioni più o meno sensibili da zona a zona, abbiamo scelto la parlata a noi più congeniale: quella che pressappoco si può ritrovare, tenuto conto delle numerose realizzazioni fonetiche e del patrimonio lessicale che caratterizza ogni luogo, nell’entroterra pescarese. Non sembri arbitraria tale scelta, poiché così come ogni lingua si ritaglia, all’interno della realtà circostante, una sua sezione, allo stesso modo si comporta il dialetto (e il parlante all’interno di esso). Questo non vuol dire che le singole parlate non abbiano caratteristiche proprie. Tuttavia bisogna riconoscere che all’interno di un dialetto vi possono essere svariate realizzazioni a livello fonetico e morfologico. È difficile stabilire, ad esempio, quale forma di periodo ipotetico sia più corretta fra le seguenti: 1) Si fforre i’, ji facerre vidè; 2) Si ffosse i’, ji facesse vidè; 3) Si ffosse i’, ji facerre vidè; 4) Si fforre i’, i facesse vidè (= Se fossi io, gli farei vedere). Né è facile dire quale sia la forma più esatta del verbo “Fare”, nella terza persona singolare del passato remoto, modo indicativo. Si può infatti scegliere tra le 8