Prefazione
Il romanzo La licenza può essere paragonato a un microscopico particolare, ingrandito dalla lente dello studioso, di
quel vasto e composito affresco rappresentante la società italiana dell’immediato secondo dopoguerra. Una società della
quale è diretta erede quella odierna delle tangenti, delle mazzette, degli scandali, dei ricatti, dei compromessi e della corruzione in generale; soprattutto di quella politica.
Sbaglierebbe, quindi, chi volesse individuare i protagonisti delle vicende narrate in Sistino e don Mimì. Tale ruolo, al
contrario, è da attribuire a tutti i personaggi; sia che essi compaiano dall’inizio alla fine del libro, sia che vengano menzionati appena una volta.
Infatti se un individuo come don Mimì riesce a detenere
il potere è perché tutti, a livelli e in modi diversi, consapevolmente o no, lo aiutano nella sua opera prevaricatrice: da
coloro che ne traggono vantaggi al disgraziato che si dibatte
nella miseria più nera.
Gli uni sostengono con tutte le loro forze il sindaco perché partecipano al ricco banchetto del padrone; gli altri continuano a votarlo perché sperano di avere le briciole del festino o, addirittura, per abitudine, perché così si è sempre fatto.
Tutte e due le categorie di persone, perciò, sono colpevoli del
dilagare di corruzione, clientelismo, sopraffazioni; che vengono legittimati in nome di una democrazia arbitrariamente
interpretata.
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