Molte persone, per non morire di fame, erano costrette ad abbandonare casa e famiglia e partivano per
l’America o per la Francia, il Belgio, la Svizzera e la
Germania, che richiamavano a migliaia tutti i poveri
Cristi del mondo con la promessa di pane sicuro e di una
futura agiatezza. In un simile stato di cose era pressoché
impossibile vivere; anche per chi, come lui, aveva tra le
mani un mestiere buono. Tra chi restava, nessuno era in
grado di pagare un qualsivoglia servizio.
Se a questo poi si aggiungeva la carognata che gli avevano fatto, Sistino non aveva motivo di stare allegro e
tranquillo. Infatti, dopo la partaccia che aveva fatto in
Comune a don Mimì e agli altri, nessuno – o per paura di
veder finire il nome suo sul libro nero del sindaco, o per
rappresaglia – era andato più da lui nemmeno per farsi
riattaccare un bottone. Di conseguenza lui, che aveva una
famiglia, pur di non darla vinta alla sguazzonaglia1 che
stava in paese; pur di non umiliarsi, facendo un vergognoso atto di sottomissione a una manica di lazzaroni; pur
di non abbassarsi a implorare il perdono e la cessazione di
quell’assurdo e incivile comportamento, aveva deciso di
emigrare, in attesa di tempi migliori. I figli suoi dovevano
pur mangiare.
Ottenuto per mezzo del cugino Enio, da tempo trasferitosi in Belgio, un lavoro, prese la valigia e partì.
Restò fuori per quasi tre anni, e in quel periodo aveva
dovuto ingoiare dei rospi così! Ah!... quante ne aveva
passate! Alla fine però era tornato a casa, spinto sia dal
desiderio di trovare un lavoro sicuro che gli consentisse
1 - All’accozzaglia di furfanti.
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