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Mark Rotsaert SJ, Gli esercizi spirituali e la lotta; Silvano
Giordano, Lotta e ascesa: San Giovanni della Croce; Théoneste
Nkeramihigo SJ, La lotta tra volontà, passività e riconoscimento;
Alessandra Bianchi, Ermeneutica dell’arte come esercizio
spirituale; Philipp Renczes SJ, La lotta di Giacobbe nel pensiero
dei Padri della Chiesa; Giuseppe Bonfrate, La lotta di Giacobbe
e l’inspirazione; Tiziana de Blasio, La lotta di Giacobbe nel film;
Giorgio Monari, L’esperienza musicale come lotta tra suono e
silenzio; Barbara Aniello,Tra agonia e rigenerazione. La notte di
Giacobbe, un excursus iconografico; Andrea Dall’Asta SJ,
Centro San Fedele: La lotta di Giacobbe e gli artisti di oggi;
Stella Morra, La frattura instauratrice: un corpo che nasce da
una ferita.
Va qui sottolineato il fatto che il concepimento e la progettazione
dell’opera risalgono all’invito per il ritiro di Colonia - altro non
era richiesto -, mentre l’esecuzione è dipesa dalla mia volontà
personale, a posteriori, di portare l’opera a compimento.
Dovendo dunque rappresentare la lotta di Giacobbe nella mia
modalità espressiva, la prima scelta che ho dovuto affrontare è
stata quella di come trattare il tema.
L’ascolto delle conferenze mi ha dissuaso a priori da qualunque
velleità esegetica, per cui l’unica opzione creativa restava quella
o di fissare un momento cruciale della vicenda o di raccontarne
la storia per esteso. La scelta narrativa si è immediatamente
prospettata come la più affine alla mia sensibilità: mi esulava
dall’affermare un’opinione categorica, mentre il dipanarsi del
racconto stemperava nel suo sviluppo la drammaticità intrinseca
del tema. Era come entrare in punta di piedi in casa d’altri.
Per narrare sono necessarie più scene, come per un cantastorie
o per una pièce teatrale. Allora più scene o si componevano in
un unico pannello o si sviluppavano su tavole diverse. A quel
punto ho immaginato un trittico, e di grandi dimensioni.
Quando diciamo “grandi dimensioni” ci riferiamo genericamente
al fatto che l’opera non si presta agli spazi fruitivi di una normale
abitazione. Si presume da parte dell’artista l’ipotesi, anche solo
immaginaria, di una appropriata destinazione (in questo caso
una virtuale esposizione nella chiesa di Sankt Peter a Colonia).
A quel punto, per stabilire la dimensione esatta dell’opera,
l’artista deve fare i conti non solo con l’ipotetica destinazione,