Forse è la sinteticità dell’inglese a piacere così tanto agli italiani; carattere che si emblematizza nella voce must-have sul dizionario Garzanti: “cosa che bisogna assolutamente avere”. Questo, però, non spiegherebbe come mai la parola “tata” sia stata soppiantata da baby-sitter o come mai dalle labbra di Alessandro Borghese fuoriesca così spesso la parola location.
Forse, allora, è tutta una questione di suono o di apparenza: make-up artist o hair stylist sembrano, per qualche strano motivo, più prestigiosi di “truccatore” o “truccatrice” e “parrucchiere” o “parrucchiera”; extension suona molto meglio di “ciocche artificiali” e shampoo meglio di “detergente per capelli”, così come cameraman acquista una maggiore specificità rispetto a “operatore” o “cineoperatore”. A rendere ancora più tragicomica tale “invasione” anglofona, come molti l’hanno definita, è la forte presenza di parole inglesi che in inglese nemmeno esistono! È il caso di autostop (hitchhiking), beauty-case (washbag), smoking (tuxedo), footing (jogging), slip (knickers) e box (garage).
By Elizabeth Tobyn
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