Troppo grandi per fallire?
Tuttavia, nonostante i numerosi arresti a livello internazionale grazie a Eurojust, l’organizzazione dell’Unione Europea il cui compito è il rinforzo del coordinamento e della cooperazione internazionale contro la criminalità organizzata, la lotta alla mafia continua a presentare non poche difficoltà.
Prima di tutto, l’arresto di malavitosi dipende spesso dal contributo dei cosiddetti pentiti, gli informatori che aiutano i magistrati a catturare i mafiosi e che dopo la conclusione del compito spesso vengono messi sotto la protezione dello Stato per prevenire eventuali vendette sanguinose. I pentiti rappresentano uno dei metodi più efficaci per combattere le mafie; ciononostante, a causa dei tentativi del Ministro dell’Interno Matteo Salvini di tagliare il bilancio della polizia, molti ex informatori, che in alcuni casi hanno contribuito agli arresti di mafiosi preminenti e alla confisca di beni clandestini con un valore di milioni di euro, ora si trovano a dover affrontare minacce di morte senza ricevere abbastanza protezione per sé e per le loro famiglie da parte del governo.
Ad esempio, Gianfranco Franciosi, che ha svolto per quattro anni il ruolo di informatore contro Cosa nostra, contribuendo notevolmente all’incarcerazione di numerosi mafiosi e alla confisca di oltre 9000 chili di cocaina, ora dice di essere stato abbandonato dallo Stato, il quale non ha le risorse fiscali per proteggere i circa 6200 testimoni. Se gli informatori non si sentono sicuri che lo Stato li proteggerà, come possono aiutarlo?
Quindi, nonostante gli arresti degli ultimi anni, gli italiani non sembrano avere fiducia nello Stato e si mostrano, invece, pessimisti per quanto riguarda la possibilità di combattere l’influenza mafiosa. Un sondaggio condotto in Sicilia quest’anno ci mostra come l’opinione pubblica ritenga che il problema principale non siano tanti i mafiosi di per sé, ma piuttosto il rapporto tra mafia e politici, ritenuto estremamento stretto. Infatti, secondo quasi il 90% degli studenti intervistati in Sicilia, esiste un rapporto “abbastanza forte” o “molto forte” tra mafia e politica; la percentuale che crede che il rapporto sia inesistente, invece, era appena dello 0,7% degli intervistati.
I risultati di quest’indagine sono arrivati poco dopo la notizia che la ‘Ndrangheta, il gruppo di famiglie mafiose calabresi, spacciava droga anche in Sicilia, nel territorio di Cosa nostra, mostrando di nuovo l’effettivo potere del gruppo. È noto che la ‘Ndrangheta abbia avuto in passato il monopolio sull’esportazione di cocaina colombiana in Europa, attività che nel 2010 ha rappresentato il 3,5% del PIL (Prodotto Interno Lordo) in Italia. Oggi la ‘Ndrangheta continua a essere considerata uno dei gruppi clandestini più ricchi e influenti del mondo.
Quindi, anche se ci sono stati arresti importanti nel tentativo di frenare la criminalità organizzata in Italia, gli italiani che vivono nelle classiche aree in cui la mafia è radicata continuano a mostrarsi pessimisti per quanto riguarda la capacità dello Stato di separarsi da essa: il 67%, infatti, ha risposto che lo Stato non faccia abbastanza per sconfiggere le mafie presenti sul territorio. Inoltre, anche se il potere di queste organizzazioni sia diminuito a causa della perdita di alcuni capi importanti, la struttura interna e la capacità finanziaria di questi gruppi assicura inconfutabilmente la loro continuità per il futuro prevedibile.
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