SocietÀ
Siamo all’inizio di febbraio e tutta Italia è attaccata e ipnotizzata davanti al televisore per vedere la trasmissione probabilmente più famosa del Bel Paese: il Festival di Sanremo, una chermesse canora che ogni anno unisce e allo stesso tempo divide i pareri di tutti gli italiani. Quest’anno però c’è qualcosa di diverso tra i cantanti in gara; nonostante dovrebbero essere rivali, c’è un elemento che li accomuna e che li fa andare tutti d’accordo: indossano un nastro arcobaleno, chi nel microfono, chi solo disegnato nella mano, chi ancora lo tiene semplicemente in mano. È una protesta silenziosa e pacifica (#SanremoArcobaleno), e il motivo, gli italiani spettatori, lo conoscono molto bene: mentre nella ridente città ligure Sanremo si canta e si intrattiene il Paese intero, più giù a Roma, nelle stanze ai piani più alti della politica, si sta discutendo e portando avanti il disegno di legge per legalizzare le Unioni Civili: la cosiddetta legge Cirinnà.
Sì, ma perché c’è bisogno di una protesta? Cosa c’è che non va? Il problema di Monica Cirinnà, la senatrice responsabile della legge che deve essere approvata, è fare andare d’accordo tutti gli animi all’interno della maggioranza di governo e, soprattutto, della minoranza.
È una corsa contro il tempo, l’Italia è l’unico tra i paesi europei a non aver ancora legiferato in una materia così fondamentale, dove negare questi diritti, significa negare la realtà.
La comunità LGBT+ in Italia è molto attiva: tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 sono state organizzati diversi flashmob per svegliare le coscienze degli italiani e soprattutto dei politici: #SvegliaItalia del 23 gennaio è stata la più famosa e partecipata con migliaia di adesioni da Nord a Sud per sostenere il decreto legge che sarebbe dovuto essere approvato la settimana successiva.
DIRITTI CIVILI IN ITALIA:
'E gia' la ora per un cambio' (npr.org)
SANREMO, LE PIAZZE E LA BATTAGLIA PER L'APPROVAZIONE