LA CIVETTA January 2022 | Page 26

In questo articolo tratterò della condizione delle donne italiane durante la dittatura di Mussolini.  Il fascismo rafforzò le credenze conservatrici preesistenti che riguardavano le donne; credenze che erano già prevalenti all'interno della Chiesa cattolica.  Ad esempio, le donne dovevano essere remissive, il loro solo scopo era quello di provvedere alla cura dei figli e del marito. Ne è prova la “battaglia per le nascite” di Mussolini: un piano per incoraggiare la procreazione, con l'obiettivo di aumentare la popolazione italiana da 40 milioni nel 1927 a 60 milioni nel 1950. Queste misure erano un modo per mantenere le donne saldamente ancorate alla sfera domestica; concezione, quella della famiglia nucleare italiana, al centro del pensiero fascista.

Mussolini, infatti, istituì una serie di incentivi per incrementare il tasso di natalità come, ad esempio, prestiti ai coniugi con vantaggi fiscali in base al numero dei figli. Inoltre, gli uomini sposati con più di sei bambini erano esenti da imposte. Queste ricompense ebbero senza dubbio gravi ripercussioni sulla condizione femminile e sul ruolo delle donne all'interno dell'Italia fascista; poiché la loro funzione era relegata al solo parto, furono quasi completamente escluse da diversi ambiti della società, come il lavoro e l'istruzione. La violazione dei diritti umani e riproduttivi fondamentali delle donne, da parte di Mussolini, ci aiuta a comprendere le difficoltà che queste affrontarono all’interno dell'Italia fascista, vittime dell’oggettificazione e della misoginia; ulteriormente, queste posizioni di Mussolini ottennero, poi, anche il sostegno della Chiesa cattolica.

 

Nicola Pende, scienziato e membro del partito fascista, sosteneva che le donne fossero biologicamente e intellettualmente adatte solo all'allevamento e quindi, lo stato non dovrebbe “distrarle” dal loro unico scopo. Ciò venne rafforzato dai suoi commenti su come il cervello femminile fosse qualitativamente inferiore rispetto a quello maschile.

Tutto questo fu ulteriormente esemplificato quando, nel 1933, lo Stato fascista dichiarò che le donne potevano occupare solo il 10% dei posti di lavoro statali e, nel 1938, questa

imposizione fu estesa anche ai posti di lavoro

Lucy Hollander