Parole ricorrenti nel dibattito pubblico sulle migrazioni e l’uso che se ne fa
Il dibattito pubblico sulle migrazioni in Italia non si spegne mai veramente; a volte si affievolisce, declassato a notizia di serie B, talvolta viene alimentato dalla narrazione mediatica sul fenomeno. Quest’ultima, spesso inaccurata ed eccessivamente semplicistica, se da un lato contribuisce ad acuire sentimenti di avversione verso le comunità migranti, diffondendone stereotipi negativi e pregiudizi, dall’altro si spinge verso il polo opposto, vittimizzando i migranti e favorendone la deumanizzazione.
Un punto di partenza per analizzare la narrazione mediatica italiana relativa alle migrazioni e il dibattito pubblico che ne consegue è la confusione terminologica che la caratterizza. È bene riflettere su come i messaggi veicolati dalla stampa contribuiscano a plasmare la percezione delle persone sulla migrazione e i fenomeni ad essa connessi.
Nel corso degli ultimi anni una serie di terminologie e definizioni si sono susseguite nei discorsi del panorama mediatico e giornalistico italiano. Ne ho selezionate alcune cariche di significati e rappresentazioni, esemplificative della potenza della narrazione.
‘Clandestino’ e ‘profugo’: il primo termine è stato molto utilizzato dalla stampa e dai media in Italia soprattutto tra il 2011 e il 2017, la cui ricorrenza si è progressivamente ridotta fino ad oggi. Talvolta viene impropriamente utilizzato per indicare quelli che sono più correttamente definiti come ‘migranti irregolari’ ovvero chi, per qualsiasi ragione, entra irregolarmente in un altro Paese.
Il termine clandestino è stato più volte criticato per la sua essenza stigmatizzante, la sua inesistenza
giuridica e per la sua capacità intrinseca di diffondere odio, discriminazione e atteggiamenti razzializzanti. Agire clandestinamente significa agire in segreto, di nascosto, senza rispettare le leggi. Questo termine, utilizzato indistintamente e spesso accostato a notizie di cronaca nera appositamente selezionate, si presta perfettamente alla costruzione del migrante come criminale, fonte dei problemi e delle frustrazioni degli italiani, condannato sulla base del colore, della sua provenienza e del suo essere ‘clandestino’. Nonostante questa parola non venga più largamente utilizzata, la tendenza ad attribuire a dei soggetti (talvolta interi gruppi etnici) una sorta di criminalità innata è ancora molto diffusa.
Il termine profugo deriva dal latino profŭgus, da profugĕre: cercare scampo. Nell’ accezione moderna, il termine viene utilizzato per riferirsi a persone che fuggono da un contesto bellico, di persecuzione razziale, politica o religiosa. È bene notare che il termine ‘profugo’, pur essendo meno generico di altre definizioni, è un termine esclusivamente italiano, tradotto nelle altre lingue europee con il termine rifugiato che, più tardamente introdotto, lo ha progressivamente sostituito. Proprio per questa sua specificità, nel panorama italiano il termine profugo è stato spesso strumentalizzato ed erroneamente associato al termine clandestino, nonostante i loro significati differenti.
Lessico migrante