LA CIVETTA DECEMBER 2023 | Page 10

Amir Issaa

C’è stato qualcosa in particolare che ti ha portato a prendere questa decisione?

Sì. Nel 2004 ho scelto di usare Amir come nome d’arte, ma la mia carriera da rapper in realtà è iniziata con un altro nome, un soprannome - un nickname -  che mi era stato dato dagli altri per via della mia estetica.  Le persone con cui sono cresciuto mi dicevano ‘Massimo, hai l’estetica di un cinese’, per questo molti mi chiamavano ‘Cina’. Una cosa da ignoranti. Quando ho iniziato a far parte della comunità hip-hop, ho scelto di utilizzare questo nome per scrivere musica rap e per fare graffiti: CINA. Lo uso ancora, ma solo per i graffiti. A 15/16 anni ho cambiato idea e ho deciso che Amir sarebbe stato il mio nome d’artista, anche perché Amir al contrario si legge ‘rima’ (rhyme). I miei genitori non potevano sapere che sarei diventato un rapper, ma non penso sia stato un caso che il mio nome abbia questa valenza simbolica.

Hello everybody! In November, we were lucky enough to interview Amir Issaa, a rapper and activist, who will be coming to visit us in January, 2024! We covered a variety of topics over the course of our discussion, beginning with the artist’s upbringing in Italy before moving onto topics such as the evolution of rap music, what he feels it means to be Italian and his new book, ‘Vivo per Questo’. It goes without saying that it was a brilliant experience and we hope that you enjoy reading this article as much as we enjoyed putting it together!

Hai detto che fino all’età di 18 anni ti sei fatto chiamare “Massimo” invece di “Amir” - il nome che ti era stato dato alla nascita -. Sentivi che mancava una parte importante della tua identità?  

 

Devo dirti la verità: i miei amici non mi hanno mai fatto sentire male per questa cosa. I veri problemi sono iniziati quando ho avuto il documento, ‘la carta d’identità’ - un ID -, perché è in quel momento che ho notato che ci fosse scritto solo Amir e non Massimo. Avevo amici con più di un nome ed era normale, perché i loro erano scritti sui documenti. Da lì è nata la mia riflessione sull’identità e la voglia di riappropriarmene. Mia madre aveva deciso di chiamarmi Massimo non per nascondere la mia identità, ma per proteggermi da una società italiana che non era ancora pronta ad accettare la diversità. Alla fine, ho deciso di non vergognarmi più e di farmi chiamare ‘Amir’.