Juggling Magazine march 2016, n.70 | Page 27

CIRCOLO C{&/@}T {&/@}TILDELL’ERRORE www.imacelli.it foto di Guido Mencari di Tiziano Massaroni Escludo da questo ragionamento i sistemi teatrali cine-televisivi e o d’intrattenimento, a loro una puntata speciale. Parlo di micro realtà che lavorano nel e con l’ignoto e che in esso si aprono e si chiudono. Si, sto parlando di ricerca in senso scientifico. Il problema è che ciò accade in teatro ed il teatro non è un laboratorio ma una triade: ci sono degli artisti, degli organizzatori e il pubblico. E come per accendere un fiammifero, se manca uno dei tre elementi del triangolo (combustibile comburente innesco), non avremo mai il fuoco. Lo chiamo problema perché comporta che ogni elemento debba rincorrere gli altri per esistere. Questa condizione in un certo senso fa venir meno la ricerca, che di principio non vuole condizioni. Qui a mio avviso s’innesca il circolo dell’errore. L’artista non vuole stringere patti in nome della sua libertà di ricercatore, il pubblico vuole la libertà di non seguire la ricerca di uno sconosciuto di turno, l’organizzatore vuol farsi creatore di un disegno selezionando artisti e seducendo il pubblico. Dovremmo qui aprire una lunga ed interessante parantesi su Darwin e il mito di Narciso, quando avremo altre 3500 battute spazi compresi lo faremo. Tutti e tre gli elementi commettono un errore in nome di una libertà che il teatro non concede a nessuno. L’artista vuol imporre la sua ricerca, il pubblico chiede di comprendere questa ricerca, l’organizzatore, in carenza del noto, e per attuare il suo disegno, cerca di colmare il vuoto dell’ignoto attuando una seduzione mirata e facendosi esso stesso tramite ermeneutico tra l’opera ed il pubblico. È in atto un errore multiplo che annulla il teatro ed il fuoco non si accende. È l’occidentale ricerca del significato che blocca tutto, come in una rigida morale. L’artista vuol trasmettere il non trasmissibile, ovvero la sua ricerca; il pubblico ha necessità di comprendere l’incomprensibile (fosse comprensibile sarebbe già codice, dunque non ricerca, come l’arte contemporanea oggi, linguaggio di massa), per liberarsi dal senso di frustrazione semantico; l’organizzatore cerca di mediare seducendo lo spettatore e poi spiegando l’opera, ovvero l’inspiegabile. Io credo che solo chi ancora non ha maturato categorie, o per età o per diversità radicali, possa recarsi a teatro. Oppure fra venti anni, partendo da zero, mettendo in atto una pedagogia fortemente decostruttiva. L’educazione, se ci deve essere, è un atto a due e se io volessi oggi portare una persona a teatro dovrei prima innamorarmene. Non può esistere un’educazione collettiva del pubblico, se non religiosa, ovvero senza crescita e solo convincitiva. Il circo da qualche anno entra ed esce dal nostro spazio. Prima di tutto sta attivando un pensiero, stiamo parlando. Io credo che davvero non sia in niente accorpabile a quelle che erroneamente si chiamano arti performative, che si dovrebbero chiamare danza e basta. È corpo come la danza, ma sta cercando altro e sta lottando con se stesso vedendo di capire cosa fare del “numero”. Consiglierei di chiamarlo solo circo, l’aggettivo “nuovo” è un ossimoro sottinteso, e “contemporaneo” anche peggio, perché associato all’arte è qualcosa ormai di arcaico. Il circo ha la carica e l’immaginario della sua storia, dei suoi chapiteau, e questa è la sua vera forza. Perché è ancora tutto così e all’alba di nuove domande. Il pubblico lo ama, gli artisti sanno ancora che il pubblico fa parte della magia del fuoco, gli organizzatori stanno un po’ a guardare, senza mettere troppo bocca, e questo silenzio è una grande bellezza. 25 jugglingmagazinenumero70marzo2016