E TEATRO:
UN INCONTRO
C{&/@}T
{&/@}TCIRCO
POSSIBILE?
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di Silvia Mei
www.cultureteatrali.org
Nell’ottica del dialogo circo-teatro, risultano però
più interessanti altre proposte e operazioni destinate a spazi teatrali, che
marcano fin da subito lo
scarto tra uno spettacolo
di circo fatto a teatro e
uno spettacolo di circo
pensato in teatro, concepito per il teatro. Si tratta
in questo caso di creazioni e di progetti artistici dove si compie pienamente
la trasfigurazione dei linguaggi per abbattere il discrimine dei generi. Nella
casistica rientra significativamente il lavoro di Aurélien Bory e di Bartabas /
Zingaro, quest’ultimo con
foto di Andrea Macchia
foto di Nicolas Heredia
I termini di una relazione tra circo e teatro nell’oggi continuano
a essere mal posti, prevalentemente in ragione di resistenti
luoghi comuni intorno a queste due discipline artistiche.
Il principale consiste nel considerare il teatro alla stregua di un contenitore di eventi, una prospettiva meramente utilitaristica, da cui
discendono a pioggia ulteriori fraintendimenti. Ad esempio la tendenza a capitalizzare l’ambito teatrale in quanto prospettiva di nuove piazze. Tendenza diffusa soprattutto da quando le nuove normative in materia di spettacolo premiano la multidisciplinarietà dei
programmi artistici. La pluralità dei generi arricchisce con tutta
evidenza il range delle sempre più sterili stagioni teatrali, pur
tuttavia imbriglia l’immaginario del pubblico e contribuisce a
innalzare steccati e categorie di sola discendenza ministeriale.
La realtà delle pratiche artistiche contemporanee è invece per
sua stessa natura esuberante e trasversale. Da almeno vent’anni stiamo assistendo a un meticciato artistico oggi essenziale
per costruire l’identità – deflagrata – di ogni artista. In particolare, con l’inizio del terzo millennio abbiamo conosciuto una vera
e propria mutazione ontologica dei fatti artistici, tale ad esempio da risemantizzare il teatro. Se prendiamo le formazioni di
punta del teatro di ricerca italiano anni 2000 – Anagoor, Santasangre, Città di Ebla, gruppo nanou, Sineglossa, Opera, fra gli
altri – la comune tensione translinguistica che le percorre promana un’idea di teatro come tessuto connettivo delle arti,
background capace di unire diverse esperienze, formati e linguaggi. Nelle loro creazioni la parola è rimpiazzata da segni linguistici, il corpo è virtualizzato, la figura umana ripensata come
segno tra segni, dentro una testualità composita. Sebbene il
teatro non sia banalmente ridotto alla sua scatola scenica, per
simili progetti votati alla sperimentazione sarebbe più opportuno
parlare di “scena”, distinguendo in questo modo il contesto che le
ospita da quelle attività (performative o paraperformative) che necessitano, loro malgrado, di uno spazio teatrale per manifestarsi.
Probabilmente la dimensione circense dell’arena e dello chapiteau
– che pure ha conosciuto col nouveau cirque diverse trasformazioni
– rischia meno del teatro ospitalità esterne, incursioni di parvenus
(raramente infatti un attore o un danzatore sceglie il circo come
spazio di spettacolo, a meno che non si tratti di una comparsata o di
un invito particolari). Il teatro è piuttosto accolto dal circo “idealmente”, come forma cioè di emancipazione drammaturgica e di
istanza drammatica. Attingendo dai festival nazionali dello scorso
anno, prendiamo come esempio, tra gli altri, la Cie Rasposo con
uno degli ultimi lavori, Morsure: qui non si rinuncia allo spazio tradizionale del tendone (pur privilegiando la frontalità dell’azione) né
al numero acrobatico, ci si giova però del collante di una drammaturgia per quadri e della drammatizzazione di una storia che lo renda plausibile, mentre il virtuosismo esecutivo viene sorretto dalle
stampelle di una recitazione interpretativa. Il teatro vi si manifesta
nei termini di un’organizzazione di oggetti e della loro narrazione
attraverso situazioni e personaggi, più o meno abbozzati.