Cari Amici Musicofili, dopo l’escursione nel mondo dell’opera buffa nel cui ambito ci siamo occupati del capolavoro rossiniano IL BARBIERE DI SIVIGLIA iniziamo un mini ciclo di tre opere, rappresentative del grande melodramma romantico che dalla seconda metà dell’ottocento sino ai primi decenni del 900 riscosse un successo straordinario presso ogni classe sociale, In Italia in particolare non solo le grandi città con i loro prestigiosi teatri come La Scala di Milano, La Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli, il Regio di Torino, ma anche numerosi centri di provincia muniti di piccoli ma efficientissimi teatri, ospitavano stagioni prestigiose e frequentatissime. Gli impresari facevano a gara per assicurarsi le opere dei Maestri più famosi, i cantanti erano notissimi, e godevano di una fama paragonabile a quella degli odierni cantautori e delle top band.
In questo panorama nazionale spicca la figura di Giuseppe Verdi, che forse anche profittando dell’improvviso quanto inatteso silenzio di un genio come Rossini ,irrompe nel panorama italiano intorno al 1840 sull’onda del risveglio politico dell’Italia e di quegli ideali di libertà che incisero profondamente anche sugli orientamenti del melodramma.Non è un caso che financo Giuseppe Mazzini, autore nel 1836 di un saggio chiamato Filosofia della musica, propugnò l’avvento di un nuovo dramma musicale, con maggiore sviluppo del coro e della strumentazione, e con abolizione dei recitativi che dall’opera settecentesca in avanti, e ancora con l’opera rossiniana, si alternavano regolarmente con le arie, con i duetti o con le scene di massa, addirittura secondo Mazzini la nuova Italia che doveva nascere avrebbe dovuto esprimere una vera e propria scuola ai vertici della musica europea, attraverso l’espressione di uno dei valori fondativi del romanticismo italiano “Dio e Popolo” laddove l’individualismo che desidera un prolungamento verso l’infinito riesce a trovarlo immergendosi in quella entità collettiva che è appunto il popolo, da qui la necessità che la musica da aulica e aristocratica, come per lunga tradizione divenga popolare. Ma di questa trasformazione nei primi decenni dell’800 non riuscirono ad essere autori i pur valentissimi Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti, entrambi afflitti da gravi problemi personali, e comunque troppo condizionati dalla lezione rossiniana, si impose invece prepotentemente il genio di Giuseppe Verdi che pur mantenendo almeno in un primo tempo i vecchi schemi introdusse un timbro nuovo, una diversa qualità umana, più virile, più energica, spodestando i vecchi personaggi malinconici e patetici , tipici dell’opera belliniana e donizettiana. Uno degli esempi più tipici di questa nuova opera popolare o nazional-popolare che dir si voglia è Rigoletto, che infatti, con la Traviata e col Trovatore costituisce la cosiddetta trilogia popolare di Verdi tra il 1851 e il 1853.
Invito all'Opera
di Francesco Bonetto
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