Alessandro Corti
Non ci sono solo le lettere “arancione”, quelle che l’Inps sta mandando a milioni di italiani per metterli in guardia sul proprio futuro previdenziale. Spiegando che, con ogni probabilità, la generazione dell’80 dovrà lavorare fino a 75 anni per ottenere l’assegno dell’istituto. E sarà un importo da fame. Accanto a queste poco invidiabili “missive” forse se ne dovrebbero prevedere altre, magari “dorate”, riservate ai tanti, ancora troppi, “privilegiati” della previdenza. Quelli che nel guazzabuglio di norme e leggine , di piccole o grandi furbizie, continuano a godere di “vantaggi” e vitalizi di tutto rispetto. Per loro la “festa” previdenziale, cominciata nell’era della spesa pubblica facile, non è ancora finita. O, per lo meno, la strada da percorrere per avere un sistema più giusto è ancora tanta. Bene ha fatto, ieri, il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha puntare l’indice sui “vitalizi d’oro” dei parlamentari. Un sistema “insostenibile” per l’istituto, 2600 assegni erogati mensilmente per una spesa di 193 milioni all’anno. Soldi coperti in gran parte dai contribuenti perché, se si applicasse il sistema contributivo in vigore per tutti gli altri lavoratori italiani, gli importi sarebbero tagliati di almeno il 40%, con un risparmio per le casse dello Stato di 76 milioni all’anno.
Una goccia, si dirà, nel capitolo miliardario della spesa pubblica destinata al welfare e alla previdenza. Ma, al di là delle cifre, il tema che Boeri continua a porre con insistenza, andando spesso controcorrente rispetto alla linea del governo che lo ha nominato, è quello di una maggiore equità nel nostro sistema. Davvero insostenibile non è tanto (o, non solo) il deficit generato dai “vitalizi” di parlamentari ma quell’insieme di sistemi previdenziali che si sono stratificati negli anni.
Abbiamo avuto le baby pensioni, che ancora pesano come un macigno sui conti dell’istituto. Ma anche il trattamento privilegiato dei militari. E poi le pensioni d’oro dei gran commis, che hanno cumulato gli assegni provenienti da diverse amministrazioni. Senza contare, poi, il ginepraio delle gestioni autonome, ognuna con regole diverse. Spesso in contrasto con le norme in vigore. Il risultato è che, negli anni delle vacche magre, quando la spesa pensionistica è stata utilizzata dal governo come una sorta di “bancomat” dal quale prelevare le risorse necessarie per far quadrare i conti pubblici, i sacrifici richiesti non sono stati uguali per tutti. Ne sa qualcosa il gran popolo delle lettere “arancione”. E ne sapranno ancora di più i giovani che oggi, se sono fortunati, cominciano a lavorare e che, se nel frattempo non riusciranno ad attivare una pensione integrativa, dovranno fare i conti con una vecchiaia ai margini della povertà. Insomma, la battaglia contro i vitalizi dei parlamentari avrà anche un sapore un po’ demagogico. Ma è sicuramente un passo in avanti sulla strada per avere regole previdenziali più giuste e, soprattutto, uguali per tutti.
IL COMMEnto
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