Briganti e galantuomini
Soldati e contadini
Aliquam varius adipiscing tempor. Vivamus id ipsum sit amet massa consectetur porta. Class aptent taciti sociosqu ad litora torquent per conubia nostra, per inceptos himenaeos. Praesent dignissim ultrices neque.
L'altra storia del Sud
I fatti narrati in questo libro, ricostruiti dopo un esame meticoloso di atti giuridici, cause e condanne contro povera gente, dimostrano inconfutabilmente che la massima parte del popolo meridionale non desiderava, come è stato fatto credere, quella “civiltà” tanto sbandierata, anche se i livelli di vita erano quelli che poteva garantire un reddito pro capite che era meno di un quarantesimo di quello di oggi.
Uno degli episodi contenuti nel volume ha particolarmente colpito la mia attenzione perché narra un episodio accaduto nell’aprile 1861 a Bagnara, un paese vicino a quello dove son nato. In esso Romano trascrive un passaggio del rapporto che un capitano dei Carabinieri mandava ai suoi superiori: “tamburi battenti scorrevano le vie, colpi di pietra andavano [sic] contro le porte, la popolazione si agglomerava nella strada gridando Viva Garibaldi. Viva Vittorio Emanuele… ” e reclamavano la “divisione delle terre comunali.” Ma più avanti, quel solerte ufficiale che in quella sua missione era accompagnato dai maggiorenti del paese, tra cui il latifondista De Leo, annotava che i cittadini, in strada, reclamavano ad alta voce “la divisione delle terre comunali state usurpate dai galantuomini.”
In poche righe è sintetizzato il fenomeno delle usurpazioni di terre demaniali, molto diffuso in Calabria dopo l’Unità, che rappresenta un’importante pagina della storia del nostro Meridione. Per meglio contestualizzare quella protesta del popolo bagnarese mi è necessario riportare un passaggio delle Disposizioni governative per lo stralcio delle operazioni demaniali nelle province napoletane, stampate Napoli, dalle stamperie nazionali, nel 1861. “Dopo la legge eversiva della feudalità in queste province napoletane del 2 agosto 1806, il Governo del tempo intese dare un fecondo sviluppo al principio della proprietà privata, disponendo, che si sciogliessero tutte le promiscuità di dominio e di usi, esistenti tra gli antichi feudatari, le Chiese ed i Comuni: che le parti assegnate in libera proprietà a questi ultimi fossero distribuite in quote ai cittadini più poveri di ciascun Comune, sotto la retribuzione di un annuo canone”.
A Bagnara in virtù di tale disposizione i beni dell’Abbazia di Santa Maria e dei XII Apostoli, fondata nel 1085 da Ruggero II il Normanno, avrebbero dovuto essere assegnati ai poveri se non le avessero già usurpate le famiglie più benestanti della città. Le proteste di cui parla Romano altro non erano se non il frutto delle vane illusioni generate dalle promesse fatte infingardamente da Garibaldi dopo lo sbarco a Marsala: il popolo, avendo creduto che finalmente, si potesse fare giustizia, si è ribellato per rivendicare i suoi diritti ma, come sovente capitava, si è trovato davanti l’esercito e i “galantuomini” uniti in losca associazione e capaci di imporre loro di tornare a casa.
Come a Bagnara, in tutta la Calabria sono stati i grossi possidenti ad appropriarsi della maggior parte delle terre migliori, lasciando ai piccoli coltivatori e ai diseredati i fonduscoli più improduttivi, ma addossando ad essi la responsabilità dell’usurpazione (cfr. Pasquale Poerio, La storia infinita delle terre demaniali in Calabria, «Incontri Meridionali», XIII, 1993, 2/3, 139-156.)
Concludo con una considerazione scontata: nei 155 anni che hanno seguito l’unificazione, la storia è stata studiata secondo le direttive politiche per sostenere ideologie e non per ricercare la verità e quel che è più grave è che per avere qualche notizia attendibile bisogna andare, come Valentino Romano, negli archivi non per studiare i grandi fatti della storia (che sono stati narrati dai vincitori), ma alla ricerca di minuzie quotidiane che, poste sotto la lente d’ingrandimento, ci fanno scorgere le verità nascoste che non possono non suscitare vergogna: i campi di concentramento non li hanno inventati i tedeschi nel secolo scorso; noi italiani, infatti, abbiamo dimostrato tutta la nostra genialità anche in quel campo un secolo prima. Ricostruire il nostro futuro con “piccoli mattoni” lasciati negli archivi perché, forse, considerati innocui al fine di scrivere la grande storia, non significa porsi controcorrente, con il risultato di non essere congeniali né agli storici di destra né a quelli di sinistra, ma vuol dire essere intellettualmente onesti perché, parafrasando Alberto Consiglio, i luoghi comuni non possono avere dimora nella biblioteca degli storici, ma solo sullo scrittoio dell’uomo di media cultura.
Valentino Romano, Briganti e galantuomini, soldati e contadini -
Laruffa editore, Reggio Calabria 2016.