Il Michileangelo a.s. 2014-15 | Page 3

L’anno che si chiude sarà ricordato per il travaglio laborioso e non ancora ultimato del tentativo governativo di riforma della scuola. Alunni e insegnanti stanno vivendo, con passione e sensibilità sconosciute negli anni recenti, il focoso dibattito che si è acceso, dando corpo, comunque la si pensi, ad una bella pagina di partecipazione democratica alla vita pubblica del Paese. Senza entrare nel dettaglio dei singoli provvedimenti allo studio, specie di quelli che creano più malessere e divisione, si pone comunque con forza un problema di qualità del sistema formativo italiano e di ruolo dei suoi operatori. L’impressionante ondata di indignazione che ha accomunato nelle ultime settimane studenti, famiglie e personale insegnante e non della scuola non può gettare fumo sulla triste verità di un sistema scolastico italiano ormai incapace di servire il processo di sviluppo tecnologico e industriale del Paese; come non può dissimulare l’incapacità, più sottile, di porre argine all’impoverimento culturale e morale che nell’ultimo ventennio ha stretto alla gola la coscienza degli italiani. Le cause della crisi del sistema scolastico sono note: la dissennata disattenzione della politica che, a partire dall’ultimo scorcio del ‘900, ha voluto vedere nella scuola soprattutto una voce di spesa, aggiunta alla vista corta sindacale che non ha speso una parola per difendere l’identità intellettuale e culturale della scuola davanti allo sprofondamento burocratico e impiegatizio messo per iscritto nei tanti contratti. Le conseguenze sono palesemente nefaste e hanno provocato il gap tecnologico e formativo che impedisce al sistema Italia di partecipare alla rivoluzione industriale dell’informatica avanzata, della telefonia e dei social network. Questa condizione pone la scuola pubblica davanti a un bivio decisivo: scrollarsi con forza e intraprendere un cammino di qualità e di merito che le consenta nuovamente di competere con i sistemi formativi più avanzati dell’Occidente, oppure cedere alla crisi rinchiudendosi in un recinto di consolante autoreferenzialità e disillusa frustrazione. La drammaticità del momento è stata crudamente denunziata dall’economista Lorenzo Bini Smaghi, in un recente articolo sul Corriere della Sera, il quale, dinanzi alle resistenze a capire l’urgenza di una svolta qualitativa della scuola italiana, che non può che passare da un incoraggiamento del merito individuale, è arrivato paradossalmente ad auspicare il rafforzamento delle scuole private di qualità e l’estensione democratica di facilitazioni economiche a quegli studenti meritevoli ma impossibilitati a sostenere le rette dell’istruzione privata. Così la scuola italiana si trova dinanzi all’abisso dell’inutilità sociale. E non valgono le considerazioni nostalgiche di chi difende la purezza della cultura dalle pretese di chi intende assoggettare il sapere ai bisogni dell’economia e della tecnica, con una considerazione contemplativa e aristotelica della scienza che l’Europa ha superato sin dai tempi di Francis Bacon.