Lettera di un soldato
Trieste , 21 marzo 1916
Caro amico mio, sono passati due anni da quando sono partito da Palermo, spero di non
averti deluso o amareggiato per il fatto che solo adesso ti scrivo.
So che forse per voi da lì , la morte può sembrare la cosa peggiore che possa capitare ,
ma, essendoci all’interno, vi assicuro che non è così, anzi spesso qui rimpiango il fatto che
lo psicopompo non abbia portato la mia anima all’ inferno, perché quello è il luogo a cui
tende.
Quando arrivai lì non riuscivo a credere che il cibo scarseggiasse così tanto, all’ inizio evitavo ma poi imparai a fagocitare tutto quello che mi sembrasse commestibile; inoltre spesso altri soldati mi hanno utilizzato come cavia propinandomi delle bevande che a loro parere potevano essere avvelenate.
Nei primi mesi di marcia, quando lasciammo l’ accampamento per attraversare le cime
innevate più alte del mondo, mi si consumarono le suole degli stivali; ma nessuno cedette il
loro paio di riserva per me, quindi attraversai la folta neve con i piedi scalzi. Alla fine del
viaggio i miei piedi trasudavano sangue.
Il luogo in cui ci trovavamo era attraversato da un fiume di morte che sfociava nel mare
della vergogna; mi avvicinai allora a un cadavere e, facendomi coraggio, gli sottrassi gli
stivali: erano grandi e scomodi, ma dopo quello che avevo passato, mi sembravano pantofole calde.
Dopo qualche mese persi il senno per la scarsa idratazione, fino a quando svenni. Quando
mi svegliai mi ritrovai in un accampamento. All’ inizio mi sentii disorientato poi due soldati corsero verso di me e trattenendomi con la forza mi diedero uno psicotropo e dopo mi
fecero centellinare dell’ acqua il cui colore mi ricordava la morte.
Dopo che mi fui rimesso, circa sette-otto giorni dopo, fui trasportato in un campo aperto;
qua con le nostre mani scavammo delle fosse, dove poi siamo rimasti fino ad oggi, mentre
scrivo questa lettera.
Nei vari mesi in cui sono stato sotto il tiro di proiettili e bellici rumori, ho manifestato una
grave ipoacusia.
Tra il freddo del luogo sdrucciolevole conobbi un uomo, un passatista, l’ unico in quella
trincea ad essere felice di trovarsi lì. Due giorni dopo la nostra conoscenza, fu ucciso da
una pallottola che gli attraversò il bulbo oculare: che morte orrenda!
All’ inizio ero esagitato, ma poi ci fai l’ abitudine.
Ora non so, se quando ti arriverà questa lettera io sarò morto, nè so se mai tornerò, ma
voglio dirti una cosa. Dopo un po’ qui dove mi trovo ti rendi conto del nichilismo della
vita e cominci a diventare cinico in un modo tale da non poterti più guardare allo specchio.
L’ unica cosa che devi ricordare è che la guerra produce solo detrimenti e morte, ma è generata dall’ ignorantaggine dell’ uomo, quindi è perdonabile ma non giustificabile; tuttavia
devi ricordare che l’ ignorantaggine dell’ uomo è imperitura, pertanto abituati alla guerra,
perché non cesserà mai. Dal tuo forse defunto amico
Luigi Esposito
(scritta da Di Pietro Christian
III A Liceo Scientifico)
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