Quando un anno di scuola finisce
spunta spesso il sentimento del
voler dimenticare. Nella vita è così
sempre; o quasi sempre.
Capita per gli anni passati a scuola e per quelli segnati dal calendario, per gli amori che finiscono e per i lavori che
si chiudono. Ogni ciclo che si chiude è un sollievo,
ogni ciclo che deve aprirsi una speranza. Succede
a tutte le età; in gioventù con un diritto
all’ingenuità più che nelle altre. Perché la memoria prossima trattiene solo le cose che non sono
andate e l’amarezza è il gusto che copre ogni sensazione del nostro palato.
Poi il tempo passa e i cicli cominciano a vorticare: è allora che la memoria remota piglia il sopravvento e comincia a dissotterrare vecchi ricordi, foto divenute color seppia, pagine scritte che tornano a
vivere nella loro bellezza e nella vivacità senza tempo della vita di ciascuno. L’amarezza scompare
e i sapori sanno ormai di piacere, di nostalgia, forse anche di quella malinconia che serve ogni poesia.
Il giornalino della scuola si anima soprattutto in questo orizzonte a lungo termine: ferma in
un’istantanea un anno della nostra vita, che è fatto di incontri, di persone, di conoscenze, di esperienze, di viaggi, di soddisfazioni e di delusioni. Un anno che troppo facilmente tendiamo a liquidare nel limbo delle cose passate e da ricordare solo per quello che abbiamo da dimenticare; un anno
che però un giorno ritornerà nel bisogno di recuperare in un filo unico la nostra esistenza e chiederà
un tributo di riconoscenza per le emozioni e la ricchezza che è riuscito ad accatastare nel tronco di
quella vicenda che è la nostra vita.
Con questo spirito vi chiedo di accogliere e conservare gelosamente questo giornale, che è la storia di
un mattone importante del vostro essere in questo mondo come uomini.
Pensando a queste cose mi viene in mente un grande maestro del nostro tempo, il portoghese premio
Nobel José Saramago. Mi piace condividere con voi le parole con cui si concludeva il suo Viaggio
in Portogallo, che era poi un viaggio nella sua esistenza e nei ricordi di cui è fatta un’esistenza:
“Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto ”Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro . Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di
notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo,
la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi
già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini ... Bisogna ricominciare
il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito ".
IL DIRIGENTE SCOLASTICO
Vincenzo Pappalardo