Cosa non sappiamo dei “ragazzi di oggi”: appunti per un dibattito adulti-
studenti all’Isis Newton Varese.
In un breve articolo di un giornalino scolastico si può dire spesso molto poco. Perciò ho
deciso di raccogliere, in maniera sincera e francamente poco scientifica una serie di
“sensazioni”, una serie di appunti, di spunti di riflessione che hanno come unico pregio
quelli di essere prodotti da un insegnante ventiquattrenne che, per il punto di vista
privilegiato, può dire ‘noi’ sia a proposito dei ragazzi che degli insegnanti.
E allora, veniamo al dunque. La domanda che mi sono posto sin dalle prime ore in cui ho
iniziato la mia esperienza lavorativa e che ha condotto la mia ricerca nelle mie classi e
durante le numerose ore di supplenza è stata: come sono i cosiddetti “ragazzi di oggi”? E
quindi, in fondo (ma non per egocentrismo, più per curiosità), come sono io? O anche, e più
semplicemente, cosa sappiamo (o non) noi docenti dei nostri studenti?
I luoghi comuni, come sempre nei periodi storici di crisi e ancor di più in quelli decadenti
come questo, trionfano. Si sostiene ingenerosamente che i ragazzi non siano interessati a
nulla, che siano legati morbosamente allo smartphone, che non abbiano valori, che siano
narcisisti e particolarmente ossessionati dall’aspetto fisico, ecc. Non mi interessa in questa
sede contraddire questi e altri stereotipi. Quello che mi preme è fornire una serie di “dati”
utili all’apertura di un dibattito tra studenti e docenti e in generale tra ragazzi e adulti nella
nostra scuola. Come “fonti”, mi sono avvalso di dialoghi, riflessioni a partire dalla lettura di
testi poetici o di canzoni che comunemente i nostri ragazzi ascoltano e di elaborati frutto di
scritture creative.
Un primo dato che è emerso è il bisogno di relazioni significative. In diversi scritti dei nostri
studenti si possono leggere esplicite richieste di attenzioni se non anche di “sentirsi amati”.
L’età dell’adolescenza favorisce, d’altra parte, una serie di atteggiamenti “negativi” e
risultano più visibili la contestazione, la disapprovazione, la messa in discussione delle
istituzioni tra cui quella scolastica. Eppure, al di là di esplicite dichiarazioni di
menefreghismo o affermazioni auto-sabotanti del tipo “eh ma in italiano non so scrivere
bene” o “non mi viene in mente niente”, i nostri studenti avvertono come indispensabile
l’approvazione dei docenti da cui in un modo o in un altro attendono legittimazione per le
loro piccole imprese. ‘Legittimazione’ che non equivale solo a ‘votazione’, né a ‘rinforzo
positivo’ di qualsiasi genere: significa anche, in generale, ‘essere considerati’. Gli studenti,
sia per la conflittualità tipica dell’età, sia perché scagliati senza griglie interpretative
consolidate in una società in continua evoluzione, hanno bisogno di relazioni anche dal
punto di vista motivazionale. Spesso, infatti, mi capita di chiedere, in ossequio alla massima
«ask the boy» del pedagogo R. Baden Powell, cosa i ragazzi desiderino per loro e per quale
motivo dovrebbero studiare le mie materie (Lingua e letteratura italiana e Storia). La
reazione più frequente alle mie provocazioni è quella di rispondere con la domanda “ma a
cosa serve l’italiano/la storia?”. La polemica, che talvolta pone come eccezione le materie
“d’indirizzo”, è la dimostrazione del fatto che la grande maggioranza dei ragazzi non accetta
passivamente quello che viene proposto e d’altra parte non riesce a trovare da sé una
motivazione valida ad alcuni fatti, episodi, problemi con cui si imbatte nella vita quotidiana.
Il silenzio, lo svilimento della materia poco comprensibile fino ad annullarne ogni istanza di
validità, il rifiuto frequente a produrre elaborati di scrittura creativa, sono il tacito grido
estremo di un’individualità che pretende considerazione e continua ri-motivazione. Certo, in
una classe non è sempre facile dare le giuste attenzioni a ognuno e quel che è peggio è che a